la Repubblica, 22 dicembre 2015
Eutanasia, l’autodenuncia dei Radicali: «Abbiamo aiutato Dominique a morire. E siamo pronti a farlo con altri»
Dominique Velati non c’è più. È morta a Berna, grazie all’eutanasia che lei, attivista radicale malata di tumore terminale, aveva voluto e raccontato lucidamente in un’intervista televisiva a “Servizio Pubblico”. Come lei sono 200 ogni anno, secondo alcune stime, gli italiani che in silenzio varcano il confine e pagano per morire. Per non finire come Monicelli o Lizzani, costretti ad usare le ultime forze per andarsene gettandosi dalla finestra. Altri 90 hanno chiesto aiuto ai radicali nelle ultime settimane: giovani, vecchi, malati, «in cerca di informazioni, soli davanti ad un Parlamento che ignora le proposte di legge sull’eutanasia e il testamento biologico», denuncia Filomena Gallo, presidente dell’associazione Coscioni.
Dominique è andata oltreconfine grazie al consiglio, all’aiuto e al supporto finanziario dell’associazione Sos eutanasia, di Marco Cappato e Mina Welby. Le hanno pagato il biglietto del treno, dopo che lei, infermiera da una vita, aveva messo da parte i 12mila euro necessaria a morire in Svizzera.
«Abbiamo voluto fare un passo concreto, un atto di disobbedienza civile. Ci siamo autodenunciati. In Italia chi aiuta a morire un consenziente rischia fino a 12 anni di carcere. Noi abbiamo dato consigli, accompagnato, pagato il biglietto: abbiamo raccontato come l’abbiamo aiutata perché vogliamo che qualcuno reagisca. Non importa se ci denunciano e rischiamo il carcere, l’importante è che se ne parli e alla fine il Parlamento discuta il disegno di legge sull’eutanasia firmato da oltre centomila persone che giace ignorato da due anni nonostante 200 parlamentari siano favorevoli alla sua analisi». Marco Cappato, racconta delle decine di lettere, telefonate che arrivano all’associazione Sos eutanasia da gente che chiede aiuto per andare a morire in Svizzera.
«Noi rispondiamo, aiutiamo e siamo pronti anche a raccogliere fondi per chi non ha soldi. Ma il nostro obiettivo non è questo. Il nostro obiettivo è che si possa decidere della propria fine, in piena e totale libertà di scelta. Che si possa morire qui, in Italia, con i propri familiari accanto senza dover varcare i confini o gettarsi dalla finestra». Perche i numeri parlano chiaro, gli ultimi dati Istat dicono che ogni anno sono più di mille i malati terminali che si uccidono. «Io penso che bisognerebbe aiutare queste persone a vivere e aiutare a trovare nella vita, anche nella malattia, la propria dignità, la speranza. Spesso parliamo di persone abbandonate, sole, e questo forse è uno degli aspetti più tragici della malattia», ha detto il ministro alla Salute Beatrice Lorenzin commentando la notizia. «Vorremmo solo che tutti potessero scegliere: di andarsene con serenità, o anche di cambiare idea come accade al 40 per cento di chi chiede informazioni e poi decidere di resistere comunque», ha ribattuto Mina Welby, ricordando il marito Piergiorgio, morto nove anni fa dopo aver a lungo lottato perche gli staccassero il respiratore che manteneva in vita il suo corpo completamente paralizzato.