la Repubblica, 22 dicembre 2015
Allegri che si strappa l’aplomb e il cappotto di dosso. L’ira funesta degli allenatori
Succede anche a loro, agli spiritosi, quelli che sanno affrontare l’imprevisto con l’ironia. Magari una volta sola, eppure gli capita. Gli sale il crimine, come si dice fra ragazzi, e al posto della battuta leggera scoprono l’ira. Se sei Trapattoni, ti piazzi davanti ai microfoni e te la prendi con Strunz. Se sei Max Allegri, se hai già perso due punti col Frosinone all’ultima azione, se contro il Carpi quelli della difesa te la stanno combinando di nuovo grossa – prima con l’autogol di Bonucci, poi con la palla del 3-3 lasciata sui piedi di Lollo – ecco, se sei Allegri finisce che al 93’ ti strappi l’aplomb e il cappotto di dosso, tutt’e due insieme con un gesto solo. L’uomo che di solito nasconde le emozioni dietro il mezzo sorriso e che s’infila nel tunnel dello spogliatoio un secondo dopo il fischio dell’arbitro, verde di rabbia stavolta si toglie la pelle dell’eleganza e si mostra così com’è. E l’umorismo? Poi se ne parla. «Meglio perdere un cappotto che tre punti».
Non è vero che la collera deforma. In fondo si rimane fedeli alla propria natura anche quando una scarica d’elettricità attraversa la panchina. C’era tutto il calcio macho di Mihajlovic nelle mani messe al collo del povero Regini un anno fa, a fine partita dopo un errore, mentre l’aria bonaria di Delio Rossi fece sembrare gli sganassoni a Ljajic la lezione di un padre a un figlio scostumato. Un filo severo, a dire il vero, come padre. Mazzarri fu italianista pure nella sua esplosione, rimanendo prudente e coperto quando come gesto estremo addentò una bottiglietta d’acqua minerale. Se non ci fosse stata la tv, neppure lo avremmo saputo. Mica come Mondonico, che a suo tempo aveva sollevato contro tutti gli dèi del cielo la propria apparente cordialità, insieme con una sedia. Mourinho arrestò la sua fisicità dentro il gesto delle manette, Garcia mise la raffinatezza francese nel mimare il violino, Klopp si dipinse il viso di un rosso teutonico in Champions a Napoli, andando a sfidare un guardalinee. Non c’è immagine più adatta di quella corsa rabbiosa sotto la curva avversaria per riprodurre l’interpretazione viscerale del calcio secondo Mazzone. Quando il tappo saltò a Ventura, dopo un derby, l’inconscio partorì il gesto del tagliagole.
La ribellione di Allegri mostra una sua ricercatezza letteraria. Fa molto Juventus. In segno di indignazione si stracciavano le vesti tanti popoli antichi, dai babilonesi ai romani. Alcuni si erano dati finanche una norma. La tunica andava lacerata per trenta centimetri al massimo, a partire dal collo, nella sua parte anteriore, come di sicuro sapeva il sommo sacerdote Caifa di fronte all’uomo che si proclamava il Messia. Ad Allegri è bastato Bonucci. Si stracciavano le vesti nel nostro meridione le vedove in segno di lutto, ai funerali. E forse Allegri ricordava l’impiegato di Gogol’che guadagna prestigio sociale comprando un cappotto nuovo, sebbene nel romanzo non si trattasse di sartorie a Manchester. Oppure più semplicemente, al culmine di una rimonta che ha portato la squadra dal quattordicesimo posto fino a tre punti dalla vetta, preso dalla paura di essere raggiunto, Allegri voleva evocare il fantasma di Conte con un gesto di foga, impetuoso, più coerente con l’indole e i metodi del ct che con quelli propri, sempre così british. Senza il cappotto borghese, una Juve di nuovo feroce. Selvaggia. Per tutte le altre, questo sarà a loro chiaro, non è un bellissimo segnale.