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 2015  dicembre 22 Martedì calendario

Il microcosmo del coro della Scala. Ecco chi sono i cento e cinque artisti che uniscono le loro voci in nome della musica

I ragazzi del coro non hanno età. A 20 come a 60 anni, quando sono lì, a cantare Bach o Beethoven, Mozart o Verdi, il tempo si ferma, ogni voce si intreccia, si fonde in un unico flusso sonoro. E quando a fine spettacolo si presentano insieme in proscenio, l’effetto è assicurato. Cento e cinque artisti, 52 donne, 53 uomini, italiani e non solo. Il coro della Scala annovera tra le sue file musicisti di ben 15 Paesi del mondo. Un microcosmo canoro accolto sempre da lunghi applausi. Tra i più recenti e calorosi quelli per la Giovanna d’Arco diretta da Riccardo Chailly. 
E stasera, tutti impegnati nella monumentale Messa in Do maggiore di Beethoven, pezzo forte del Concerto di Natale condotto da Franz Welser-Möst, dove li attende anche la Fantasia per piano e orchestra, solista Andrea Lucchesini. Montagne russe musicali, ma la carica dei 105 è inarrestabile. A guidarli Bruno Casoni, 74 anni, da 14 il loro impareggiabile maestro. Asciutto di modi e di parole, stavolta prima della prova della Messa, si concede un attimo d’orgoglio: «Per questa Giovanna d’Arco stiamo ricevendo lodi da ogni parte del mondo. Complimenti a tutti. E ora al lavoro. Signori, il Sanctus!». 
Il coro attacca. Insieme, poi a singole sezioni: i tenori, i bassi, i soprano, i contralti. Di nuovo insieme. «Attenti a scandire le parole – ammonisce —. La parola deve arrivare in platea. Pensate di essere uno speaker della tv». Capace di evocare sussurri e grida del sacro. Di far tremare con il Credo, commuovere con il Miserere. L’eleganza del latino diventa preghiera comune anche per chi viene da lontano. Come il tenore Ramtin Ghazavi, 35 anni, iraniano. «In pochi anni ho imparato l’italiano e il latino, il tedesco e il francese» elenca. «Un coro deve conoscere più lingue – spiega Agnese Vitali, 52 anni, mezzosoprano —. Se capita una rara, vedi il ceco per Janacek, un coach ci aiuta per la traslitterazione». 
Per fare musica ci vuole orecchio. Per stare insieme a lungo, ben di più. «Non sempre il clima è idilliaco, ma quando cantiamo è il momento in cui ci vogliamo più bene» garantisce il soprano Lucia Ellis Bertini, 48 anni. A volte, tra un concerto e l’altro, capita pure di innamorarsi. «Qui sono nati amori e matrimoni» garantisce. 
«Qui ho passato la vita, ho cantato nell’era Abbado, Muti, Barenboim – sospira Alberto Milesi, il decano, che a maggio lascerà per “raggiunti limiti d’età”, 61 anni e sei mesi —. Ho iniziato a 24 anni con il maestro Gandolfi, allora era più semplice, bastava una buona vocalità». Le cose sono cambiate. Ora il concorso internazionale prevede dure prove vocali e musicali, letture a prima vista di partiture… «È più facile iniziare da solista che entrare nel coro della Scala, qualcuno ci ha provato anche sette volte. Per questo ci sono pochi giovani» avverte Oreste Cosimo, 28 anni, mascotte del coro. A lui è andata bene al primo colpo. «Avevo 21 anni, mi sono presentato su consiglio di Casoni. Gli devo tutto». 
«Stare in un coro ti insegna ad ascoltare gli altri, una lezione di vita» osserva Inga Dzhioeva, 56 anni, arrivata 23 anni fa dalla Russia e convertita a Verdi. «Cantandolo mi sento italiana anch’io». «Quando sono entrato, nel 1989, eravamo divisi in siciliani, napoletani, veneti – ricorda il tenore Pippo Veneziano, 54 anni —. Adesso ci sono i coreani, i giapponesi, i cubani…». 
Cantare in un coro, interviene Casoni, è un’esperienza speciale. «La voce è lo strumento più bello, non ha bisogno di nessun tramite. Un violinista deve passare dal suo violino per ottenere il suono, al corista basta la voce. Con surplus di cuore e anima». 
E altro ancora. In scena i coristi devono diventare anche attori, pronti a seguire i dettami del regista. «A volte ci fanno cantare appesi, a volte sdraiati… Può essere molto faticoso» assicura il baritono Massimo Pagano, 55 anni. In quei casi tocca a Casoni farsi mediatore tra regista e direttore. «Con Chailly il contatto è molto stretto, studiamo insieme le partiture. Non chiunque salga il podio sa il valore di questo coro, il migliore al mondo per la lirica». 
Un prestigio internazionale spesso liquidato dalla critica con aggettivi frettolosi. «Uno dei più abusati è “puntuale” – ironizza Casoni —. Cosa vuole dire? Che arriviamo in orario? Nonostante le lodi, il nostro impegno resta misconosciuto. Una volta un amico mi ha chiesto: i coristi cantano di sera, ma di giorno cosa fanno? Non l’ho più salutato». Il suo è un lavoro bellissimo che nessuno vuole fare più. «I giovani preferiscono la bacchetta. Il direttore ha l’aura della star, il maestro del coro no». Difatti, quando lui esce a fine opera, a volte lo scambiano per il regista e si becca pure fischi non suoi. «Capita, ci ridiamo su…». Quel che conta sono gli applausi ai coristi. «Mia moglie si lamenta che passo più tempo in teatro che a casa. È vero, questa è la mia seconda famiglia». Forse anche la prima.