la Repubblica, 22 dicembre 2015
I diari di Breznev, uno spaccato (intimo) di Guerra fredda
«Alla prima posta ho subito ucciso un cinghiale. Invece N.S. (Nikita Sergeevic Krusciov, ndr) c’è riuscito solo al terzo tentativo». Potrebbe sembrare giusto una piccola vanteria da cacciatore, ma in queste poche righe, scritte su una pagina di diario da Leonid Breznev nel 1958, c’era forse tutta la voglia di emulazione che lo avrebbe portato pochi anni dopo a partecipare al complotto di Partito contro l’allora segretario del Pcus e diventare di fatto il capo assoluto dell’Unione Sovietica per ben diciotto anni. Anni cupi di Guerra Fredda, e di conflitti regionali sanguinosi, passati alla Storia della Russia come gli anni della grande stagnazione economica. Uomo grigio, poco colto, aggrappato al potere anche quando la sua salute lo aveva ridotto a una sinistra caricatura di sé stesso, Leonid Breznev è conosciuto dai giovani russi di oggi solo come il protagonista di centinaia di feroci barzellette che i loro genitori si raccontavano in gran segreto. Ma qualcosa sta cambiando. A pochi giorni dall’anniversario della nascita, c’è un chiaro tentativo di riabilitare un personaggio che in qualche modo affrontò situazioni simili a quelle contemporanee. E forse non a caso la Komsomolskaja Pravda è riuscita a tirar fuori dagli archivi di Stato alcune disordinate pagine degli appunti che Breznev scriveva ogni giorno da quando era entrato in politica su grossi quaderni neri che portava sempre con sé. Si comincia da un appunto del 1964, quando Breznev si era appena insediato nell’ufficio di Segretario Generale del Pcus e si mostra magnanimo con il suo predecessore silurato. Molti dei congiurati ne avrebbero richiesto l’eliminazione fisica. Breznev invece annota una lista delle cose da procurare al più presto per Krusciov: uno stipendio da 5.000 rubli, l’accesso alla mensa del Cremlino, la possibilità di farsi curare nel poliambulatorio riservato alla nomenklatura, una dacia per la villeggiatura, e un’auto. Un anno dopo il capo dell’Urss prende appunti sulla situazione della soffocante burocrazia del Paese e scrive: «Non gonfiare, anzi ridurre l’apparato statale. Pensarci su». Passa un altro anno e, nel 1966, Breznev si rende conto di un certo malumore sociale. Scrive: «Aumentare retribuzione dei lavoratori agricoli. Controllare prezzi di lino e panna. Vigilare sul divario di reddito tra città e campagne». Saltando fasi storiche importanti, la ricerca della Komsomolskaya arriva al giugno del 1967, al termine della guerra dei Sei giorni quando Israele respinse l’aggressione militare di molti paesi arabi appoggiati da Mosca: «Americani e Inglesi hanno forti interessi in Medio Oriente. La sconfitta militare è evidente. Ma più pericoloso è per l’Urss perdere il ruolo di guida rivoluzionaria di tutte le forze progressiste dell’area». Altre riflessioni sul Medio Oriente si resero inevitabili nel 1973 quando ritornarono le tensioni che in ottobre avrebbero portato alla guerra dello Yom Kippur. In febbraio Breznev scrive: «I Paesi arabi sono come bambini viziati. Speriamo di saperli rieducare». E aggiunge il nome dei Paesi di cui invece ci si può fidare: «Con l’Iraq c’è un forte riavvicinamento militare. Quanto alla Siria c’è addirittura un’unità totale». Sembra proprio di rivivere situazioni simili a quelle di oggi. Come nel caso dei nazionalismi. Il 23 marzo del ‘73 Breznev segna sul suo diario: «A colloquio con Ju. V. (Jurij Vladimirovic Andropov, allora capo del Kgb che sarebbe succeduto a Breznev, ndr). Deciso l’invio di un reggimento corazzato in Cecenia- Inguscezia dopo i gravi fatti di Grozny». Ma non si ferma qui, il pericolo è più vasto: «Nazionalismo anche in Ucraina. Non sarebbe il caso di dare una rinfrescata all’intelligence del ministero della Difesa?». È l’ultima testimonianza che abbia un senso politico. La salute di Breznev comincia ad aggravarsi e il leader finisce per fare solo annotazioni di tipo personale. Come il racconto del weekend tra il 15 e il 16 maggio del 1976: «Barba, capelli, passeggiata, e l’hockey in tv. Il Cska ha perso con lo Spartak, ma almeno ha giocato bene». Ma è un declino inesorabile. I suoi acciacchi gli rendono impossibile occuparsi d’altro. Segnala solo battute di caccia o il lusso delle sue adorate automobili («giro in Crimea con la Rolls Royce!») mentre in Occidente si dice che sia ormai praticamente morto e il Partito esclude una sostituzione temendo un tracollo del sistema. Fino a un disperato tentativo del 22 febbraio dell’81: «Ho provato a fare un discorso in una sala del Cremlino». Non ci riuscì. Morì un anno dopo e in breve l’Urss entrerà nella spirale che ne avrebbe provocato la dissoluzione.