la Repubblica, 22 dicembre 2015
Signor presidente, signora presidente. Una polemica alla Camera
C’è una breve sequenza di tre giorni fa, ormai quasi ingoiata dalla nebulosa dell’informazione, nella quale un deputato leghista (Simonetti) si infuria perché la presidente Boldrini gli chiede di non chiamarla “signor presidente” essendo lei una donna; e dunque signora presidente. Il breve incidente, pur nella sua modesta rilevanza, andrebbe studiato per il sensazionale sgarbo con il quale quel deputato si scuote di dosso il suo evidente torto (Boldrini non è un signore; è una signora). È uno sgarbo risolutivo, un “io dico quello che mi pare” impressionante nella sua ostentata, rivendicata negligenza. Segnala una distanza definitiva, nella forma e nella sostanza, da ogni possibilità di riconoscere, al di là delle opinioni, una oggettività anche minima, indispensabile per sopportarsi l’un l’altro. Tanta quanta ne basta per correggersi se, come capita al deputato Simonetti, si ha torto. È lo stesso identico spirito che animava il “me ne frego” fascista. Non uno slogan generico, ma uno specifico spregio per tutti i miserabili impicci che i diritti altrui, o banalmente la cortesia, pongono sul proprio cammino. Boldrini è una signora e non un signore? Me ne frego.