la Repubblica, 22 dicembre 2015
L’anno record delle fusioni
Dall’Italia – con le sue banche e banchette recalcitranti ad aggregarsi – non sembra. Ma l’anno che va chiudendo segnerà un primato per le attività di fusione e acquisizione, battendo il record del 2007, l’anno che schiuse la Grande crisi. Gli addetti ai lavori aggiornano i file e siamo a 4.600 miliardi di dollari, già oltre i 4.297 miliardi di otto anni fa. A parità di inflazione, per il vero, 2007 resta sopra di 300 miliardi. Il dato è comunque notevole: anche perché alcuni specialisti giurano che la fiera delle aggregazioni continuerà. Molte sono le cause che la sospingono: un tenue ma progressivo miglioramento della fiducia dei consumatori e delle imprese; la permanenza di ampia liquidità e tassi di interesse ai minimi che rendono quasi gratuito indebitarsi, specie per i colossi; la contestuale scarsa crescita di importanti economie mondiali, che tiene vive le pressioni sui manager per ridurre i costi aziendali “creando” altre efficienze sulla schiena dei lavoratori; la ricerca costante di luoghi dove pagare meno tasse (cui si deve la più grande fusione del 2015, quella da 160 miliardi tra l’americana Pfizer e l’irlandese Allergan). Ultimo, ma non ultimo, l’effetto emulazione che si genera ogniqualvolta le aggregazioni prosperano, perché i concorrenti si sentono indeboliti dalle nozze degli altri. È facile prevedere che i settori più sensibili al richiamo della grandezza saranno gli stessi che hanno gonfiato i bonus dei banchieri d’affari con 21 miliardi quest’anno: farmaceutico, tecnologico, energetico, distribuzione. Possibili outsider, le tlc (vero Telecom) e le banche (vero Popolari e Mps?), dove molto si apparecchia. La banca d’affari americana Citigroup, che se ne intende visto che gli States sono la patria delle fusioni – quest’anno record nazionale, oltre 2mila miliardi – chiama al ruolo di attori protagonisti Staples, Ralph Lauren, Deckers outdoor, Yahoo. Sempre che il 2016 non somigli più all’anno funesto che seguì il 2007: come indica d’altronde la caduta in corso dei bond alto rendimento, i 5 miliardi di riscatti chiesti dagli investitori ai fondi più rischiosi nella novena di Natale, e altri cumuli all’orizzonte.