La Stampa, 22 dicembre 2015
Non si può scrivere «negro». A Philadelphia una scuola politicamente corretta censura Mark Twain
La Friends’ Central School di Filadelfia, una delle scuole più prestigiose della città, ha deciso di eliminare dai programmi di studio Huckleberry Finn, il capolavoro di Mark Twain che Hemingway considerava il romanzo da cui nasceva tutta la letteratura americana moderna. Fuori dai programmi, ha deciso il management della scuola; ma non fuori dalla biblioteca, dove potrà rimanere a disposizione di chi lo vorrà leggere. Già poco dopo la sua pubblicazione, nel 1885, il libro era stato oggetto di censura (a Concord, Massachusets, perché considerato una porcheria). Questa volta invece, la messa al bando è stata dettata del fatto che nel romanzo compare spesso la parola nigger, termine spregiativo per indicare quelli che adesso chiamiamo afro-americani.
Ansie puritane
All’epoca dell’uscita del libro, in realtà, il termine non era automaticamente spregiativo. Lo divenne dopo. E per questa ragione, in nome del «politicamente corretto», qualche anno fa una casa editrice americana pubblicò il testo di Twain sostituendo, nelle circa 200 occasioni in cui compare, la parola incriminata con la parola «schiavo». L’idea, per quanto balzana, aveva un suo appiglio nel racconto. Huckelberry Finn racconta infatti le avventure e l’amicizia di uno «schiavo» fuggiasco e di un ragazzo bianco, Huck Finn per l’appunto. Ma che da un romanzo caratterizzato dal fatto di essere una delle più belle opere letterarie di denuncia dello schiavismo e della mentalità schiavista debba essere tolto il vocabolo con cui venivano indicate le vittime della schiavitù, è un’operazione che affonda nel ridicolo. Politicamente corretta? Imbecille, piuttosto.
La Friends’ Central School è andata più in là. Non lo ha modificato: lo ha eliminato. La scuola di Filadelfia è una scuola gestita dai Quaccheri. I quali, puritani rigidissimi in ambito teologico, contrari alla guerra e a ogni forma di violenza, furono anche convinti avversari dello schiavismo. Se adesso, in nome della ricerca di «pacifiche soluzioni dei conflitti», vedono in Huckleberry Finn un libro che va nella direzione opposta e non nella stessa direzione dei loro principi, è perché lo leggono con le lenti deformanti del politicamente corretto.
Il caso Morrison
Per coerenza, dovrebbero allora togliere dai programmi scolastici Amatissima di Toni Morrison, in cui la parola compare assai di frequente, in quanto usata sistematicamente dai bianchi (white folk nell’originale: a proposito, ma non è per caso offensivo e scorretto usare quell’espressione?). La parola nigger, data l’epoca in cui si svolge la vicenda narrata nel romanzo della scrittrice afro-americana, non potrebbe assolutamente non esserci. Vogliamo quindi bandire anche Amatissima dai programmi? E pure nelle pagine di L’uomo invisibile, il capolavoro di Ralph Ellison, ambientato non nel Sud ma a New York, nigger compare decine di volte. Così anche in Gridalo forte di James Balwin, ambientato nella Harlem degli anni Trenta. Fuori dai programmi anche questi due romanzi? Romanzi di scrittori afro-americani, si badi, che riportano la parola che veniva usata in modo insultante dai bianchi per sottolineare il disprezzo razzista nei confronti dei neri; ma che forse, per questa ragione, non aiutano la «pacifica soluzione dei conflitti». Una simile aberrazione logica non sarebbe da escludere. D’altronde, è notizia dell’altro ieri che il Rijksmuseum di Amsterdam ha deciso di cambiare i titoli dei quadri contenenti parole politicamente scorrette, come negro o indiano, e ha già trasformato quello del ritratto di Ragazza negra di Willem Maris in Ragazza con il ventaglio.
Il fatto è che il politicamente corretto talvolta assomiglia al sonno della ragione. Gli studenti della New Hampshire University, ad esempio, oltre ad avere proposto la sostituzione di tutta una serie di parole assolutamente neutrali perché ritenute insultanti con altre parole «corrette», erano giunti a sostenere che non bisogna mai dire «americano» ma «statunitense», in quanto il vocabolo correntemente usato farebbe pensare che gli Usa sono l’unico stato presente nell’intero continente. Che non fosse soltanto una volontà di precisione «geografica», lo suggerisce il fatto che la presidente della University of California ha dichiarato che, pena il licenziamento, non deve essere usata, per indicare gli Usa, l’espressione «il Paese delle grandi opportunità», in quanto essa sarebbe sotterraneamente razzista.
Ancora oltre sono riusciti ad andare i politicamente correttissimi studenti del Goldsmith College dell’Università di Londra, che hanno votato quasi all’unanimità contro la proposta di commemorare l’Olocausto. Perché era un proposta «eurocentrica», spiegò una studentessa; perché era «colonialista», spiegò uno studente. Quello stesso giorno fu bocciata anche la proposta di condannare il terrorismo dell’Isis, in quanto condannare i terroristi era una forma di «islamofobia».
L’Ulisse
Visto che ci sono, gli studenti di Goldsmith dovrebbero approvare un’altra proposta: chiedere di eliminare dai programmi l’Ulisse di Joyce. Anche lui infatti usa diverse volte la parola nigger. E se nell’episodio Circe, ad esempio, ci sono due guitti travestiti da africani, con dei «labbroni da negri», nell’episodio I lestrigoni c’è addirittura un vecchio capo tribù negro («nigger») che si mangia il reverendo MacTrigger! Scorrettissimo il buon vecchio Joyce. Ma scorretto anche il vecchio negro.