La Stampa, 22 dicembre 2015
Un saggio dedicato al più ampio dei sensi umani, il tatto
Nel 1980 Italo Calvino si reca a visitare una mostra parigina dedicata alla collezione del Dottor Spitzner. Si tratta di un vero e proprio museo composto di «mostri» raccolti dal sedicente medico. Tra i reperti accumulati da questo personaggio semisconosciuto figura una pelle umana completa: un uomo di 35 anni la cui epidermide è stata conciata sino a costituire una sorta di tappeto umano schiacciato, come un fiore dentro le pagine di un libro.
L’organo più ampio
Vista nell’insieme dei reperti dell’esposizione dedicata al museo delle atrocità di Spitzner questa pelle appare allo scrittore «l’immagine più fraterna e riposante». La pelle umana è il più ampio organo del nostro corpo. Si calcola che in un adulto di peso medio, intorno ai 65 chilogrammi, abbia una estensione di circa 180 centimetri quadrati, e pesa in totale 7 chilogrammi. Sarebbe quasi il 10% dell’intero peso corporeo. Guardata da vicino la pelle appare composta di due strati: l’epidermide e il derma. La prima è quella esterna; ha spessori diversi a seconda delle parti del corpo (sottile nelle palpebre spessa nei talloni); il derma è invece lo strato interno, più complesso, composto di tessuti connettivi e di fibre elastiche, appare come una struttura semifluida. Nel suo libro, Senso lato. Il tatto e la cultura occidentale (Carocci, pp. 351, € 36), Claudio Pagliano, studioso di storia della scienza, osserva che essendo il più ampio dei sensi umani, nelle fiamme dell’Inferno sarà anche il più afflitto.
Essendo così estesa la pelle arde e fa soffrire moltissimo il condannato alla pena eterna. La pelle è il nostro interfaccia con il mondo, luogo di confine, e dunque di passaggio. È attraverso la pelle che noi comunichiamo con l’intorno, ed è la pelle che ci racchiude in quello che sentiamo come la sede della nostra identità personale. La pelle ci mantiene in equilibrio e si equilibra essa stessa. Pogliano ha diviso il suo coltissimo volume in tre parti: tatto, pelle, mano. In effetti, quando si parla di tatto, si pensa per lo più alla mano; però si dovrebbe più propriamente parlare di «senso della pelle», poiché il tatto è esteso a tutta la nostra superficie, ed è più sensibile negli arti superiori e meno in quelli inferiori, più sulla schiena che non nel gomito.
Toccare le cose
Il tatto corrisponde alla pelle e alla sua estensione. Come spiega l’autore oggi si parla diffusamente di percezione aptica, espressione che i vocabolari italiani non registrano. Viviamo, scrive Pogliano, in una «età aptica». La percezione aptica è un caso particolare del tatto. Si tratta di quel processo di riconoscimento degli oggetti che deriva dall’afferrarli e dal manipolarli. Sarebbe il contrario della carezza o dello schiaffo; la mano, meglio le dita, conoscono un oggetto tastandolo, esplorandolo, afferrandolo. Lo studioso di psicologia, nonché artista e ottimo disegnatore in gioventù, J. J. Gibson ha sostenuto negli Anni Sessanta del XX secolo che esiste un doppio tatto: uno passivo, il tatto come ricezione, e uno attivo, il tatto come esplorazione del mondo.
Mentre il primo ha sede nella pelle, il secondo coinvolge la mano e anche tutte le articolazioni, muscoli e tendini; comporta il percepire la propria posizione nello spazio (la propriocezione) in un insieme di stimoli molto complesso e perciò altamente efficace. Il dettagliato saggio di Pogliano che esplora quanto è stato detto da filosofi e scienziati riguardo al tatto, da Aristotele ai giorni nostri, parte dalla constatazione di una attuale rivalutazione di questo senso, su cui era caduto una sorta di interdetto culturale e filosofico. È proprio il tatto il senso che unisce soggettività e oggettività, ed è in grado di coinvolgere il sé e l’altro da sé.
Sfiorare i tasti
Se Haptics designa oggi una disciplina emergente e complessa, dal computer science alla robotica, continua Pogliano, l’altro temine chiave è Touch, parola magica, che rivaluta nel rapporto con le macchine virtuali l’atto dello sfiorare. Tutta una serie di ricerche si è attestata nella zona definita da questi due termini, così che ora esiste una vera e propria «tecnoscienza del tatto» che si applica agli ambienti naturali e a quelli artificiali: la mano bionica, ad esempio, non solo afferra oggetti, ma ne determina il grado di rugosità, come se fosse un arto umano. Quanta strada ha compiuto la filosofia e la scienza, dagli antichi interdetti riguardo al tatto, senso animale per eccellenza, all’importanza che assume, ad esempio, nella costruzione dell’identità del bambino.
Negli Anni Cinquanta e Sessanta Asley Montagu, antropologo e sociologo, mise in luce quanto fosse importante il tatto nel rapporto bambino e madre, e come nella sessualità costituisca uno specifico linguaggio. Montagu studiò alcune tribù dei nativi australiani ribaltando il Noli me tangere dominante nella cultura vittoriana, e non solo.
Derma e identità
Un altro studioso, nominato da Pogliano, lo psicoanalista Didier Anzieu, con il suo Io-pelle (Borla) ha mostrato quanto la pelle e il tatto siano importanti nella costruzione dell’identità umana in generale. Marshall McLuhan, poi, nel suo Understanding Media (Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore) parla del tatto come una sorta di «sistema nervoso» o unità organica dell’opera d’arte nell’epoca di Cézanne e delle avanguardie, quale risposta alla «electric age» moderna. Sarebbe il tatto a permetterci, oltre che un contatto con le cose, di rappresentarle nella nostra mente. Aristotele, non a caso, aveva scritto secoli orsono che «la mano è lo strumento degli strumenti».