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 2015  dicembre 22 Martedì calendario

I No Tav non erano terroristi. Arriva la sentenza d’appello per quattro attivisti

Danneggiamento, incendio. Non terrorismo. E dunque 3 anni e 6 mesi di reclusione e non 9 anni e 6 mesi come chiedeva la pubblica accusa. Nella sentenza con cui la Corte di assise d’appello di Torino conferma le condanne – per lo più già scontate – per i quattro attivisti No Tav Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi, c’è una parabola che si esaurisce: la stagione della lotta dura del movimento No Tav e dell’offensiva giudiziaria che l’ha contrastata. Di quella parabola l’assalto al cantiere dell’alta velocità di Chiomonte, la notte tra il 13 e 14 maggio 2013, era l’apice: un’azione studiata nei minimi dettagli, venti attivisti armati di molotov e razzi con l’obiettivo di danneggiare i mezzi degli operai e delle forze dell’ordine. Un atto di terrorismo, per la procura di Torino; non per il tribunale di primo grado, per la Cassazione (che ha confermato la scarcerazione dei quattro) e ora anche per la Corte d’appello.
Marcello Maddalena, il procuratore generale che ha indossato la toga per l’ultima volta e a fine anno andrà in pensione, ha riversato tutto il suo prestigio e la sua esperienza. È tornato indietro nel tempo, al vissuto di magistrato che ha combattuto il terrorismo negli anni Settanta per spiegare che sì, oggi non ci sono più le rivoltelle, ma esiste ancora un terrorismo interno, ed è quello che cerca di sovvertire le legittime decisioni dello Stato, scegliendo la pratica del sabotaggio. Ha attinto ai ricordi, al traliccio di Segrate costato la vita all’editore Giangiacomo Feltrinelli nel 1972, rivendicato sette anni più tardi da Renato Curcio e da altri brigatisti: «“Osvaldo” (Feltrinelli) non è una vittima ma un rivoluzionario caduto combattendo. Era impegnato in una operazione di sabotaggio». Ha citato il dirigente dell’Ansaldo Adinolfi, gambizzato tre anni fa a Genova: per chi gli ha sparato l’accusa di terrorismo ha retto, come escluderla nel caso di chi mette a rischio l’incolumità di operai e forze dell’ordine per bloccare un’opera strategica?
Ora Maddalena si limita a poche e scarne parole: «Credo che la sentenza sia sbagliata». I giudici hanno dato una lettura dei fatti diversa, probabilmente più vicina alle tesi degli avvocati difensori: mancavano i pilastri di un’azione terroristica, e cioè la volontà di colpire le persone e l’effetto contundente sulle strutture democratiche dello Stato. Durante il blitz le molotov distrussero un compressore, il cantiere si fermò per un’ora, poi gli operai tornarono ai loro posti. L’opera non fu compromessa, lo Stato non prese mai in considerazione l’idea di abbandonarla.
I quattro imputati sconteranno il resto della pena agli arresti domiciliari, dove si trovano da un anno. Hanno trascorso oltre un anno in carcere, in regime di alta sorveglianza, ed è ciò su cui ora fanno leva i loro avvocati: «Ci auguriamo che la procura di Torino faccia finalmente autocritica e ripensi a come ha affrontato la vicenda Tav in questi anni: accuse pesanti, asprezze, carcerazioni preventive, processi militarizzati». Maddalena chiude subito il varco: «Invito sbagliato: ci facciamo sempre un esame di coscienza».
È l’ultima schermaglia di una battaglia finita da un pezzo.