La Stampa, 22 dicembre 2015
In Cina una collina diventata discarica crolla e uccide almeno 90 persone. Presto tutti dimenticheranno
Più di 90 persone sono ancora disperse sotto i 33 edifici crollati nello smottamento di domenica a Shenzhen, il distretto cinese che confina con Hong Kong. Un’area di 60.000 metri quadrati è stata spazzata via da una marea di fango e detriti.
Il bilancio ufficiale
Una collina alta 100 metri formata da anni di accumulo di terriccio e di altri materiali di riporto edile, fradicia per le abbondanti piogge, è franata su un’area industriale: il fango in pochi istanti ha travolto tutto quanto incontrava sul suo cammino, fra cui case abitate e capannoni.
E il giorno dopo il disastro, le informazioni sono solo parziali: sulle prime, la stampa nazionale aveva dichiarato che gli edifici colpiti erano 22 e i dispersi «una trentina». Ieri mattina la cifra è salita a 91 persone e 33 edifici, senza ulteriori aggiornamenti, per quanto sia assai improbabile che una catastrofe del genere possa portare così in fretta a un conteggio tanto preciso delle vittime.
Fra gli edifici travolti ci sono almeno due dormitori di operai (fortunatamente la frana si è staccata a mezzogiorno, quando i padiglioni erano quasi vuoti) con tutto il corollario di piccoli ristoratori di strada e negozietti ambulanti che si trovano sempre nei loro dintorni. Quello che è trapelato, però, è che non è stata per nulla una «catastrofe naturale» ma conseguenza dell’edilizia industriale scellerata della «fabbrica del mondo». La collina, divenuta una discarica gestita dalla Hongao Construction, era un tale affronto al buon senso che già da sei mesi era stata dichiarata pericolosa e l’azienda aveva avuto l’ordine di smaltirla. Ma così non è stato. E ieri sera le autorità cinesi spiegavano che la speranza di trovare superstiti è esile: «Il fango è troppo liquido e s’insinua dappertutto, non permettendo la formazione di tasche di aria».
Il precedente
Le domande sulla tragedia sono tante – ma nessuna di queste trova risposta: già ora le autorità stanno «gestendo la notizia», così come avevano fatto appena 4 mesi fa, dopo le esplosioni nelle fabbriche di Tianjin, che avevano causato 173 morti e un numero imprecisato di feriti. Di nuovo, una cifra scolpita nel marmo, che non è mai stata rivista, e una tragedia sulla quale non si hanno più avuto notizie. Una volta impedito alla stampa nazionale e internazionale di portare avanti inchieste, ecco che l’unica versione dei fatti è stata quella delle autorità. E l’incidente di Tianjin, soffocato dalla censura, è rapidamente scomparso dalla coscienza collettiva, mentre i familiari delle vittime sono divenuti gli ennesimi gruppi di semi-dissidenti, monitorati dalla polizia.