La Stampa, 22 dicembre 2015
Le regole per tutelare i risparmiatori sono pronte, eppure la loro entrata in vigore slitta sempre più avanti
Nel complesso funzionamento della macchina europea, capita di perdere di vista cambiamenti epocali delle regole. L’acronimo Mifid 2, ad esempio. Dietro quell’incomprensibile sigla si celano novità che in futuro impediranno casi come quello delle obbligazioni di Etruria. Il testo uscito dal Parlamento di Strasburgo ad aprile 2014 è un enorme faldone di cento articoli che dice alcune cose chiare. La prima: occorre rendere più difficile (se non vietare) la vendita di un’obbligazione ritenuta troppo rischiosa. Quando la Mifid 2 sarà in vigore, la Banca d’Italia potrà prendere decisioni in autonomia senza – come è accaduto in questi giorni – dover invocare una legge ad hoc. La Mifid 2 impone poi maggior trasparenza alla clientela, ma soprattutto introduce regole severe sui margini che le banche ottengono su ciascuna vendita. Dietro a questi obiettivi c’è un enorme lavoro giuridico ma soprattutto enormi interessi. Scritto e approvato il testo principale, negli uffici ovattati delle istituzioni europee da mesi si discute un secondo testo, quello che dovrebbe essere tradotto nelle regole nazionali. Era stato promesso per l’estate scorsa, poi per novembre, nel frattempo se ne sono perse le tracce. E così la direttiva che avrebbe dovuto entrare in vigore il 3 gennaio 2017 probabilmente slitterà di un anno, a gennaio 2018.
I perché del rinvio
Qualche giorno fa durante un convegno a Milano il dirigente del Tesoro Alessandro Rivera la metteva così: «L’Esma (la Consob europea, ndr) chiede più tempo per risolvere alcune problematiche tecniche». Poiché le nuove regole sono complesse, c’è da rivedere procedure, aggiornare sistemi informatici, riscrivere standard. Argomenti seri, tanto che il Parlamento ha dato il suo benestare al rinvio e girato la decisione alla Commissione. Eppure non sembra essere questa l’unica ragione del rinvio. Dice Massimo Scolari, ex Bankitalia e oggi presidente dell’Associazione dei consulenti finanziari indipendenti: «Le difficoltà operative senza dubbio ci sono, ma è altrettanto vero che le associazioni bancarie di alcuni Paesi ne stanno approfittando per chiedere la modifica di alcune norme». Quali?
Il conflitto di interessi
La più controversa è proprio quella che riguarda i margini delle banche nella vendita dei cosiddetti prodotti «complessi». Facciamo un esempio: il signor Rossi entra in banca e il suo funzionario di fiducia gli consiglia di acquistare un fondo di investimento. Il signor Rossi si fa convincere, e per questo paga una commissione al fondo stesso. Quel che il signor Rossi spesso non sa, è che una parte della sua commissione viene trattenuta dalla banca. Apparentemente un fatto del tutto normale. Ma una cosa è comprare un’auto dal concessionario, altro è un prodotto finanziario in banca. Se l’auto funziona male, ce ne accorgiamo nei primi dieci chilometri, mentre per scoprire che un’obbligazione venduta come a basso rischio diventerà carta straccia possono essere necessari anni. Nel caso dei prodotti finanziari la banca può incorrere in un pesante conflitto di interessi, che il concessionario non ha. Non è un caso se in alcuni Paesi europei oggi il cosiddetto «diritto di retrocessione» – ovvero la commissione della banca – è vietata. Accade dal 2013 in Gran Bretagna, ma anche in Olanda e Australia. Non in Europa, non in Italia.