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 2015  dicembre 20 Domenica calendario

Buonos Aires e le sfide di Macri, tra passioni e dolori

Una città in cui la vita quotidiana e la letteratura si mescolano semplicemente. Una città aperta come un libro. 
Ogni sera a Buenos Aires vanno in scena trecento spettacoli teatrali, più che a New York, più che a Parigi. Capitale macrocefala di un’Argentina che produce cibo per 400 milioni di persone e non riesce a sfamare tutti i suoi 40 milioni di abitanti. Sempre in bilico tra salvezza e default, nel suo passato glorioso è stato un Paese di riferimento.
Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura, racconta che nella sua infanzia boliviana e nella sua adolescenza peruviana, i giovani sognavano di studiare e affermarsi in Argentina, non negli Stati Uniti e neppure in Europa. Quell’Argentina che oggi è considerata uno dei Paesi latinoamericani meno invitanti per gli investimenti e più incerti per il futuro di chi ci abita. 
La libreria Ateneo, una delle più belle di Buenos Aires, in calle Florida, mette in vetrina i titoli di geniali narratori argentini, degni eredi di Borges, Cortazar, Sabato, Giardinelli. Ma anche decine di copertine che descrivono l’inspiegabile volatilità dell’economia, la follia di un Paese ricco che, come in una coazione a ripetere, resta vittima di uno sviluppo bloccato. Alcuni titoli dei libri esposti: El horror economicoComo acabar con la pobreza (come sconfiggere la povertà), El default mas tonto de la historia argentinaEsta vez serà diferente? (stavolta sarà differente?), La gran degeneracion, Un pendulo austral. (La grande degenerazione, un pendolo australe).
Uno dei libri più originali – premiato anche per la maestria con cui l’autrice utilizza strumenti interdisciplinari per analizzare la società argentina – è Dolor Pais, pubblicato nel 2002 da Silvia Bleichmar, psicoanalista argentina con la passione per la politica e in procinto d’essere ripubblicato. L’autrice identifica il dolore come motore della medicina di tutti i tempi e di tutte le culture. Dolore più temuto della morte, quello fisico e quello psicologico. Nella vita affettiva il dolore può essere devastante e precipitare verso la morte oppure prostrare l’individuo in un tale abisso di sofferenza da paralizzarlo o incatenarlo a una vita miserevole.
L’Argentina, tra altri primati, ha quello – secondo Bleichmar – di esprimere un’altra tipologia di dolore. «C’è una dimensione del dolore che, seppure intimamente personale, è localizzata nel corpo degli ideali sociali del gruppo o comunità di appartenenza. È proprio evidente che – alla maggior parte degli argentini – il proprio Paese provochi dolore». Questo è il risultato dell’incidenza della realtà economica sulla sfera psichica degli cittadini: la traccia, la cicatrice lasciata dal saccheggio del Paese, perpetrato dalle corporazioni (finanziaria e politica), che hanno depredato grandi ricchezze. 
Gli abitanti sono rimasti inermi, immalinconiti dalla propria impotenza, demotivati dalla mancanza di risposte della classe politica. Un libro, Dolor Pais, che si è trasformato in emblema di resistenza anche perché Silvia Bleichmar lo ha ultimato quindici giorni prima di morire. La storia dell’Argentina è costellata di tracolli ma anche di expertise, un Paese-laboratorio. Il famigerato default del 2001, uno dei più deflagranti della storia finanziaria mondiale, ha avuto il merito di anticipare grandi temi: l’inadeguatezza del modello liberista e del Washington Consensus, troppo centrato sulle variabili macrofinanziarie che occultavano altri indicatori sociali di straordinaria importanza: l’inclusione, l’integrazione, la disoccupazione. 
Un Paese che ha saputo, a proprie spese, mettere a fuoco i danni prodotti dall’iperliberismo, primo nemico del buon capitalismo. Sia chiaro, con un prezzo altissimo, pagato, in primis, proprio dagli argentini, attori di una società disumanizzata. La perdita di ideali centrati sulla solidarietà, la diffusione di quel relativismo morale in cui la spiegazione di un fatto diviene la giustificazione del fatto. 
L’abitudine a pensare in termini economico-finanziari senza però accarezzare l’idea di un avanzamento della dimensione collettiva. Un futuro migliore pensato solo in termini individuali che finisce per abbracciare la spaccatura della società in modo bipolare, due parti, vincitori e perdenti. Questi ultimi responsabili ultimi del loro fallimento. Sullo sfondo la corruzione politica e la logica degli affari, meglio dell’imbroglio, che spinge nel baratro della disillusione. Nella madre di tutte le crisi, il default del 2001, che poi ha generato crisi successive il cui apice è l’ultimo default, quello del luglio 2014, vengono rivissuti i traumi di un Paese che non supera quella patologia psichica identificabile come “forma di produrre dolore in un altro essere umano”. Che non è una modalità mostruosa come quella degli anni della dittatura (1976-1983) in cui trionfano l’aggressività, il sadismo e la crudeltà. Bensì in quella “banalità del male “di Hannah Arendt, riferita non a chi è sadico o crudele, ma a chi è incapace di riconoscere l’esistenza dell’altro. In Argentina si è perseguito in modo ossessivo quell’individualismo senza moralità. Un male apatico, quotidiano, civilizzato, moderno.
Come uscirne? Solo con la ri-umanizzazione di una società devastata. Che Borges, in Evaristo Carriego, tratteggia con inarrivabile maestria. «L’argentino non si identifica con lo Stato. Per lui lo Stato è una inconcepibile astrazione. Sì perché l’argentino è un individuo e non un cittadino. Frasi come quella di Hegel, “Lo Stato è la realtà dell’idea morale “gli sembrano scherzi sinistri».
Pochi giorni fa si è insediato il neo presidente Mauricio Macri, che si proclama liberista. Le aspettative di cambio, in un Paese ancora in mezzo al guado, sono alte. Sette tassi di cambio, un’inflazione al 25% e un’economia poco aperta e sprofondata in recessione sono i principali fattori di criticità. Una sfida titanica, quella di Macri.
La storia dimostra che solo i peronisti sanno governare questo Paese ingovernabile. Il peronismo poggia su princìpi immodificabili: giustizia, solidarietà, eguaglianza, identità nazionale. Le derive familistiche e le corruttele ne hanno quasi sempre travolto lo spirito. Eppure, fior di politologi, di cui Ernesto Laclau è il capofila, sostengono le ragioni del peronismo e la sua forza cangiante. L’unica capace di detonare la dimensione affettiva degli argentini: la passione.