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 2015  dicembre 20 Domenica calendario

«Hail, Caesar!», nel 2016, grazie ai fratelli Coen, vedremo George Clooney in gonnellino e sandali

Lo avevano già conciato con la retina in testa e la brillantina in Fratello dove sei?, girato nel 2000 e più che liberamente tratto dall’ Odissea di Omero. «Più che liberamente» significa che Joel ed Ethan Coen raccontarono in conferenza stampa a Cannes di non aver mai letto l’originale, borbottarono qualcosa sui vecchi adattamenti cinematografici, lasciarono agli spettatori il compito di sbrogliare la matassa. George Clooney era Everett Ulysses, fuggito di prigione e deciso a riconquistare la moglie Peggy. Tra indovini ciechi e venditori di Bibbie con un occhio solo, facevano la loro comparsa anche le sirene. Invece del Mediterraneo, il Mississippi degli anni Trenta.
Un attore con fama di sex symbol che si lascia strapazzare dai registi dimostra fiducia assoluta nel loro talento. E la reticella per tenere a posto i capelli imbrillantinati era poca cosa paragonata al costume da antico romano che George Clooney sfoggerà – sempre per volere dei Coen Brothers – nel prossimo film, Hail, Caesar! ( Ave, Cesare!, la traduzione l’abbiamo pronta, sarebbe un peccato non usarla).
Fa da sfondo il cinema hollywoodiano anni Cinquanta, il lussuoso cast ammicca alle star dell’epoca. Scarlett Johansson è un’attrice-nuotatrice alla Esther Williams, Channing Tatum è un attore ballerino alla Frank Sinatra in Due marinai e una ragazza. A George Clooney in gonnellino e sandali tocca la parte dell’attore che sul set dimentica le battute. Viene rapito da una misteriosa organizzazione chiamata «The Future»: vogliono centomila dollari per liberarlo.
Nelle sale Usa dal 5 febbraio (anteprima europea alla Berlinale, in Italia l’11 marzo), Ave, Cesare! allunga la lista degli idioti impersonati dall’attore. «Numskull trilogy» era appunto l’etichetta affibbiata da George Clooney a Fratello dove sei?, Prima ti sposo e poi ti rovino, Burn After Reading. Calcolo approssimato per difetto. Nei film dei Coen gli idioti – anche di gran fascino come il grande Lebowsky, in Italia partì una gara tra chi credeva di somigliargli – sono decine, tra protagonisti e comprimari. I registi di Minneapolis riprendono la tradizione che sul versante tragico ha Dostoevskij, e sul versante comico Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hašek o Una banda di idioti di John Kennedy Toole.
Già un buon motivo per mettere Ave, Cesare! in cima alla lista dei titoli più attesi del 2016, scansando la valanga dei supereroi (anche incrociati tra loro come Batman v Superman di Zach Snyder, non se ne sentiva l’urgenza), dei film apocalittici, dei remake o dei sequel, dei film d’animazione. Quattro categorie più che rispettabili: tra i migliori film del 2015 troviamo Mad Max: Fury Road, che mette insieme le prime tre (alla regia George Miller, regista del primo Mad Max e ormai settantenne, nulla era garantito) e le emozioni animate di Inside Out, targato Pixar-Disney.
Tra l’ossessiva ripetizione del già visto, francamente non dispiace – quando tutto al cinema sta per cambiare: se ne consuma sempre molto, ma non sempre nel buio della sala caro ai nostalgici – vedere un film che riconosce l’esistenza di successi popolari prima di Star Wars. Non spiace neppure che due registi moderni e brillanti creino un cortocircuito con il passato: Ave, Cesare! si gode di più conoscendo il nuoto sincronizzato di Esther Williams e i pettegolezzi sul cinema di Hedda Hopper (qui è Tilda Swinton).
Un giretto nel passato i fratelli Coen lo avevano fatto nel bellissimo Barton Fink. È successo a Hollywood, tre volte premiato a Cannes 1991: Palma d’oro, regia, miglior attore John Turturro. Raccontava la parabola degli scrittori – da Clifford Odets a William Faulkner – finiti a Hollywood in cambio di favolosi contratti, poi macinati dall’ingranaggio e maltrattati da produttori senza scrupoli. O almeno così vuole il ritratto del genio alle prese con l’industria.
La pensa diversamente Christopher Isherwood (dal suo romanzo Addio a Berlino viene la Sally Bowles di Cabaret ). In una lettera al collega Aldous Huxley – che era appena sbarcato a Hollywood pieno di speranze – affonda il pugnale: «Non so cosa ti immagini di fare qui, venderti l’anima suppongo? Voialtri scrittori vi credete troppo in su per il cinema. È il contrario: il cinema è troppo in su per voi. Non abbiamo bisogno di romantiche puttane ottocentesche. Abbiamo bisogno di tecnici».
Tecnico, a suo modo, era anche Eddie Mannix, che ritroviamo con il suo nome vero in Ave, Cesare! (lo interpreta Josh Brolin). Alto dirigente della Mgm, era soprattutto noto come fixer : uno che, alla maniera di Wolf in Pulp Fiction, «risolve problemi». E i problemi – più precisamente, gli scandali – causati dalle star erano parecchi: cattive frequentazioni, ubriachezza anche molesta, tradimenti, omosessualità da nascondere (lo stesso Mannix fu sfiorato dai misteri sul suicidio del primo Superman, George Reeves: racconta tutto Hollywoodland, diretto da Allen Coulter con Ben Affleck). E lo studio aveva i suoi: il peplum viene messo in cantiere come produzione di prestigio, non il solito filmetto di evasione.
Vediamo Eddie Mannix che racconta i suoi peccati. Sono passate solo 27 ore dall’ultima confessione, il prete lo rassicura: «Figliolo, neanche tu sei così cattivo». Ave, Cesare! allunga la lista degli idioti, ma anche la lista dei personaggi che nei film dei fratelli Coen aspettano un segno. Un segno qualunque, ma che arrivi da lassù, per avere la certezza che non siamo soli in questa valle di lacrime.
In A Serious Man, con prologo in yiddish, l’Altissimo tormentava il professor Larry Gopnik, novello Giobbe: la moglie lo tradisce con il più antipatico dei colleghi, uno studente coreano lo denuncia, tre rabbini interpellati non sono d’aiuto. Unico segno: qualche lettera dell’alfabeto ebraico incisa sull’arcata dentaria, rilevabile solo con il calco del dentista. «Voler parlare con Dio, e trovar la linea sempre occupata», titolava una recensione americana.
Altrettanto straziante era A proposito di Davis, con Oscar Isaac. Le vicissitudini di un cantante folk newyorchese a cui Dio ha dato il talento, ma non il pubblico, e come ultima prova gli ha messo sulla strada un giovanotto di nome Bob Dylan. Ultimo, e non secondario, pregio: i fratelli Coen non hanno nessun cedimento verso la New Age.