Il Messaggero, 21 dicembre 2015
Dal Montana a Berlino. La lunga passeggiata del tirannosauro Tristan Otto, in mostra al Naturkundemuseum
Ha 66 milioni di anni, la testa imponente, il collo poderoso. E le sue ossa lucide, più di 300 pezzi assemblati in poco più di un mese da un team di 70 studiosi, nascondono ancora molti segreti.
Esposto da questa settimana al Museo di Storia Naturale di Berlino, “Tristan Otto” è il primo tirannosauro a mettere piede in Europa. Di più: dei 50 scheletri di T-Rex ritrovati al mondo, la maggior parte dei quali gelosamente custoditi da privati, il suo è uno dei meglio conservati. Le misure della bestia, già ribattezzata il “superdinosauro”, sono impressionanti: dodici metri di lunghezza, sei di altezza, una testa di 180 chili grande quanto un tavolo con denti lunghi come mannaie. Conservata, e questo è il dato che eccita la comunità scientifica internazionale, quasi integralmente: «Si tratta di un’occasione unica non solo per la città di Berlino e per la Germania – ha detto il direttore del museo Johannes Vogel inaugurando l’esposizione, aperta al pubblico per i prossimi tre anni – ma anche per la ricerca di tutto il mondo».
Molte sono infatti le domande ancora aperte cui lo studio delle ossa di Tristan potrebbe presto rispondere. A partire dalle cause della morte del dinosauro, dovuta forse a un’infezione nella mascella o a un tumore, fino alle sue abitudini comportamentali: il tirannosauro era davvero un feroce predatore o si nutriva di animali morti? «I dinosauri ci possono raccontare ancora tanto. Il loro scheletro è solo la punta dell’iceberg», spiega Matteo Belvedere, icnologo specializzato nello studio delle impronte di dinosauri e unico italiano nel team. «Le ossa vengono sezionate e studiate per capire come sono fatte all’interno. È così che abbiamo scoperto che i dinosauri avevano una struttura ossea più simile a quella degli uccelli che a quella dei rettili. E sempre grazie a questi studi abbiamo capito come si muovevano. Molto banalmente, fino agli anni ’70-’80 i dinosauri venivano rappresentati con la coda bassa. Ma studiandone le impronte non abbiamo mai riscontrato la presenza di una scia». A cinque anni dal ritrovamento, avvenuto nel terreno di un privato in Montana, il tirannosauro è arrivato a Berlino grazie all’intervento di un investitore danese con la passione per la paleontologia, Niels Nielsen. È lui che ha acquistato lo scheletro, ribattezzandolo con i nomi dei suoi figli, per poi prestarlo per tre anni al museo «per attrarre pubblico e incuriosire i bambini nel campo della ricerca». Per il Naturkundemuseum, che dal 1889 attrae circa un milione e mezzo di visitatori all’anno, è scattata una lotta contro il tempo. L’obiettivo: montare ed esporre Tristan prima che un altro tirannosauro, anch’esso ritrovato nel Montana, arrivasse in Olanda.
LO SCHELETRO
Il più grande problema da risolvere riguardava proprio la testa: troppo bella per essere collocata a sei metri d’altezza, fuori dalla portata dello sguardo degli spettatori, e troppo preziosa per sospenderla in aria. Per questo motivo oggi il cranio di Tristan è esposto a parte, in una teca, mentre in cima al collo del dinosauro troneggia una ricostruzione effettuata con una stampante 3D. E a realizzarla è stato un piccolo team composto da Belvedere e il paleontologo Heinrich Mallison: «La testa è stata digitalizzata con la tecnica della fotogrammetria. Abbiamo passato tutto il mese di agosto a scattare migliaia di foto al cranio, che poi abbiamo processato con un software specifico. È stato un lavoro complesso, perché le ossa sono molto scure e lucide e maneggiarle genera sempre una certa apprensione. Poi abbiamo inviato il file alla Technische Universität, dove il modello è stato stampato. Sono stati fatti dei calchi ai singoli pezzi, per dar loro un colore omogeneo con il resto del corpo, e infine assemblati. Proprio come un puzzle». Il risultato finale è davvero impressionante. «Quando l’ho visto intero sono tornato bambino. È incredibile trovarsi di fronte a un carnivoro così grande, specialmente se paragonato agli altri erbivori conservati nel museo. È un’esperienza suggestiva. Nient’altro può farci immaginare così vividamente una pagina tanto antica della storia del pianeta».