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 2015  dicembre 21 Lunedì calendario

Il problema con i magistrati e le regole

Prima un magistrato siciliano e uno napoletano, ora, per condotta ben diversa e persino autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura (incarico non retribuito all’ufficio legislativo della presidenza del Consiglio dei ministri), uno aretino: nell’attesa di rapidi chiarimenti da parte degli inquirenti e del Consiglio superiore della magistratura, questi segni di crisi di alcune parti del sistema giudiziario, complessivamente sano, indicano che c’è un vuoto di regole di condotta. Un vuoto che potrebbe essere riempito da un forte spirito di corpo, da un’etica condivisa dalla maggioranza; o che potrebbe essere colmato da una coraggiosa reazione del Consiglio superiore della magistratura; oppure un vuoto al quale dovrà porre rimedio il legislatore. C’è carenza di regole morali e giuridiche e, dove presenti, sono elementari o rudimentali.
E non basta siglare protocolli di intesa con Cantone, invocando l’Autorità nazionale anticorruzione da mettere per ogni dove. Bisogna rendersi conto che più il sistema giudiziario si sposta verso il centro del potere e il cuore dello Stato, più diventa inaccettabile che i magistrati siano tanto legati ai luoghi dove si esercita il potere, sia la sanità, o l’amministrazione, o la politica, o gli uffici legislativi. Questo è un paradosso di cui il corpo dei magistrati dovrebbe rendersi conto: più essi parlano al popolo e all’opinione pubblica in nome della giustizia, più forte diventa il bisogno che la loro legittimazione discenda dalla loro indipendenza e imparzialità.
Un altro paradosso è questo. Grazie a leggi che hanno affidato la loro attuazione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e all’Autorità nazionale anticorruzione, il personale politico e il personale amministrativo è ora stretto da norme talora eccessivamente severe in materia di incandidabilità, conflitti di interesse, incompatibilità, incarichi esterni, altre regole di condotta miranti ad assicurare l’imparzialità dello Stato. I magistrati, quelli ai quali spetta il potere ultimo, quelli che possono decidere della dignità e della libertà delle persone, quelli che possono mettere alla gogna e talora tenere alla gogna per anni indagati, sono invece immuni da queste norme di condotta.
Conosco l’obiezione: anche i magistrati vivono in una società, hanno famiglia, fanno parte di gruppi, associazioni, comitati di volontari, sono depositari di saperi specialistici, non possono recidere tutti i legami con il mondo circostante. Ma a speciali poteri debbono corrispondere doveri particolari di astenersi, di isolarsi, di evitare rapporti. La Corte costituzionale l’ha detto a chiare lettere, sia in termini generali, sia quando si è trattato di salvaguardare stipendi e pensioni dei magistrati dai tagli disposti dal Parlamento. Per la loro posizione, i magistrati non debbono essere costretti a negoziare con il governo il loro trattamento economico. Ma proprio perché non debbono essere costretti ad agire come gruppo di pressione a difesa del loro trattamento economico, essi debbono astenersi da rapporti che possano stabilire legami, o dare il segno esterno di legami in conflitto con la loro funzione imparziale e indipendente. Per questi motivi sono urgenti interventi moralizzatori, non quelli sanzionatori, ma quelli preventivi, che fissino regole chiare sulla partecipazione, in generale, dei magistrati alla vita pubblica, sui conflitti di interesse, sulle incompatibilità, sugli obblighi di astenersi, sulle incandidabilità, sugli incarichi esterni. In una parola, c’è bisogno anche e soprattutto per i magistrati di quelle «regole dell’onestà» che essi fanno valere ogni giorno nei confronti di tanti cittadini.