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 2015  dicembre 21 Lunedì calendario

Reggio Calabria, la città dove si vive peggio

Nella provincia di Reggio Calabria, più in basso di così, c’è solo da scavare. Oppure, per risalire nella speranza di aver toccato il fondo, affidarsi all’accoglienza della Madonna della Consolazione. Del resto la Chiesa è diventata un punto di riferimento per il riscatto morale di un popolo sfiancato e il 12 dicembre monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, arcivescovo di Reggio-Bova, ha tuonato ancora contro ’ndrangheta e malaffare in occasione dell’apertura della Porta Santa.
A rileggerlo alla luce della classifica del Sole 24 Ore, l’ultimo discorso pubblico del sindaco Giuseppe Falcomatà suona ancor più colmo di attesa misericordiosa. «Se questo cero deposto ai piedi della Vergine sarà benevolmente accolto – disse il 15 settembre davanti alle più alte gerarchie della Chiesa locale – sarà possibile riaprire gli asili nido di Archi e di Gebbione, sarà facile completare i lavori in corso relativi alla messa in sicurezza di alcune scuole, sarà facile riavviare i lavori del nuovo palazzo di Giustizia e completare i lavori della Diga sul Menta per porre fine all’annosa emergenza idrica; sarà facile realizzare un nuovo sistema di mobilità che ci renda tutti cittadini di Reggio Calabria».
Chissà, forse sarà anche più facile appaltare i lavori pubblici e aprire i cantieri per la riqualificazione di Corso Garibaldi, della Piazza del Duomo, di Piazza Italia e per la prosecuzione del lungomare a nord e a sud. I reggini si accontenterebbero che fosse più facile far risplendere il “salotto” di Corso Garibaldi, laddove i commercianti hanno raddoppiato gli sforzi per rendere appetibili le vetrine e attirare quei pochi clienti che hanno ancora voglia di spendere in un contesto desolato e stanco persino di rievocare la rivolta del ’70, che ha portato più danni che benefici.
Se Giuseppe Falcomatà chiede che lo sguardo della Madonna si abbassi sulla città e renda tutto più facile, i suoi concittadini – molto più laicamente – chiedono proprio a lui, il figlio predestinato di Italo Falcomatà, idolatrato sindaco dal 1993 al 2001, di risollevare una città allo stremo dopo dieci anni di gestione amministrativa sempre nelle mani di Giuseppe Scopelliti. In prima persona dal 2002 al 2010 e poi, dopo essere volato a fare il Governatore, con il suo vice Giuseppe Raffa (ora presidente della Provincia) e infine con il fido Demetrio Arena, spazzato via il 9 ottobre 2012 dallo scioglimento per contiguità mafiose del consiglio comunale, che ha aperto le porte a due anni di incerta gestione commissariale prefettizia.
Fino alla primavera, la luna di miele con la città di Falcomatà – 32 anni, avvocato, eletto il 26 ottobre 2014 – ha retto: l’edizione di aprile della Governance Poll elaborata da Ipr Marketing lo ha collocato al quarto posto nel gradimento degli amministrati, con un punto percentuale in più rispetto al 60,99% delle preferenze ottenuto alle elezioni. La sensazione, però, è che il feeling abbia le ore contate e che la preghiera ai piedi della Vergine resti davvero per tutti l’unico sollievo in un territorio dove il deficit di igiene urbana non è emergenza ma spesso quotidianità, la disoccupazione è a livelli record e obbliga i giovani a fuggire, i servizi pubblici sono scadenti e (ri)affidati ai soliti noti, imposte e tasse sono alle stelle, le sofferenze bancarie al top con una stretta creditizia che alimenta ancor più il ricorso all’usura, l’economia è assistita, vessata dalle estorsioni e affidata alle pensioni dei nonni che fanno da paracadute sociale a figli e nipoti senza lavoro, la sanità è al centro di continui scandali, la politica continua a vivere di clientes, le associazioni civili sono pochissima cosa e la raffinata regia dei sistemi criminali alimenta la cappa onnipotente della mano mafiosa. Le nuove, feroci leve delle cosche di Archi continuano a vessare commercianti e minacciare la stampa (Alessia Candito, che lo ha denunciato, è sotto tutela).
Del resto la speranza che sia lo Stato a volgere il suo sguardo pietoso da queste parti – magari incrociandolo al di là dello Stretto, verso quella provincia di Messina che non se la passa certo meglio e che a parole vorrebbe essere unita a Reggio oltre che da un vagheggiato Ponte anche da una incerta convergenza tra le due eteree aree metropolitane – è morta da tempo. Reggio Calabria continua, infatti, a ricevere briciole. Le ultime hanno assunto, il 13 novembre, la forma di 10 milioni per alleviare le finanze del disastrato bilancio comunale. Ironia della sorte: il decreto legge con il quale il Governo li ha previsti è stato battezzato “happy days”, ma qui di “giorni felici” non se ne vedono da troppi anni.
Per dare l’idea di quanto il territorio – culla di civiltà e cultura a dispetto di un Museo archeologico che ha in cura i Bronzi ma non riesce a diventare polo di attrazione turistica sostenibile – sia uscito dai radar della Repubblica basti citare un solo altro episodio. Il 20 ottobre Falcomatà e Raffa hanno esultato a mezzo stampa solo perché Alitalia ha mantenuto la tratta aerea da e per Milano con partenza mattutina e rientro serale, la cui cancellazione era prevista dal 25 ottobre.
Se ci si avventura nella provincia – nella quale il porto di Gioia Tauro è l’emblema del fallimento economico e sociale e i centri aspromontani sono le stimmate di una criminalità sanguinaria senza confini geografici – peggio che andare a fari spenti. Infatti, anche il presidente Raffa, nelle stesse ore in cui Falcomatà levava alta la sua preghiera, supplicava «la Vergine della Consolazione, da cristiano e credente, perché aiuti questa terra a superare quei mali atavici che impediscono una nuova condizione umana e lo sviluppo sociale, culturale ed economico delle nostre comunità».
Quei mali atavici hanno nomi e cognomi che neppure lui ha nominato e che (quasi) nessuno pronuncia (a parte la Procura, guidata da Federico Cafiero De Raho e dagli investigatori, che questi cancri li combattono quotidianamente)mentre molti ci campano. Si chiamano ’ndrangheta evoluta in raffinatissimi sistemi criminali, corruzione estesa, mafia dei colletti bianchi, massoneria deviata, servitori infedeli dello Stato e parassitismo clientelare. È un territorio ormai affidato davvero alle pietose mani della Divina Provvidenza in una regione che ha da decenni il proprio punto di forza “produttivo” nelle prebende della previdenza non contributiva. Al secolo pensioni di invalidità e assegni di accompagnamento che non sono stati rifiutati a nessuno nel corso dei decenni. E con quelle si tira a campare.