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 2015  dicembre 21 Lunedì calendario

Bolzano, la città dove si vive meglio

Bolzano, come al solito. O, visto che siamo nella patria del bilinguismo, wie immer. Nessuno stupore per questo primo posto, il terzo negli ultimi dieci anni, un primato in condivisione con Trento, altri tre primi posti dal 2003 a oggi, senza contare i piazzamenti di queste due province autonome che da anni hanno siglato la santa alleanza dell’Euregio, il patto tra le regioni alpine di cui il terzo protagonista, con il trentino Ugo Rossi e l’altoatesino Arno Kompatscher, è il capitano del Tirolo Günther Platter.
Accordi transfrontalieri che non provano neppure a dissimulare l’eterna mitopoiesi tirolese, la tensione al ricongiungimento con quel länder-heimat austriaco da cui il Sudtirolo fu separato con un colpo di bisturi dopo la vittoria italiana della prima guerra mondiale. «Los von Rom!» appartiene ormai ai libri di storia. L’accordo tra Italia e Austria e il famoso “pacchetto” del 1972 (gli altoatesini ci tengono a ribadire che la loro autonomia fu sancita da un accordo di politica estera, dunque protetto da convenzioni internazionali) ha messo in moto un processo virtuoso che in neppure quarant’anni ha trasformato una delle aree più derelitte e povere d’Europa in un modello economico studiato nelle università di mezzo mondo. Miracoli dell’ibridazione e di quella posizione mediana che consente ai sudtirolesi di mutuare dalla Germania, dalla Svizzera tedesca e dall’Austria comportamenti e normative ripudiati autolesionisticamente da noi latini.
Primo grande spartiacque tra «noi» e «loro»: il federalismo. Teoria e pratica dell’autonomia si calano nella realtà attraverso scelte di democrazia diretta con le quali si sbrogliano questioni delicate. C’è da decidere se restituire l’antico nome di piazza della Vittoria (del novembre 1918) a piazza della Pace? (la battaglia contro la toponomastica di derivazione fascista è guidata dalla pasionaria Eva Klotz). Si convoca un referendum e si chiamano i bolzanini al responso.
Va assunta una decisione sull’allargamento e allungamento della pista dell’aeroporto di Bolzano per consentire l’atterraggio a jet da un centinaio di posti, scelta osteggiata dai Verdi? Il nuovo landeshauptmann sollecita gli altoatesini a pronunciarsi sempre attraverso lo strumento del referendum.
Poi c’è il capitolo lavoro, con il modello dell’apprendistato ripreso da quello austriaco e svizzero. Qui, come nel resto del Nord Europa, i corsi professionali non sono considerati le scuole dei falliti. Tutt’altro. Ci sono 48 corsi di specializzazione tra i quali scegliere, da liutaio a vivaista, passando per bottaio o assistente odontoiatrico. Tre quarti del tempo si passano in fabbrica, dove si viene assunti con regolare contratto a zero contributi e uno stipendio che all’inizio è del 60% inferiore di quello di cui si godrà alla fine dei quattro anni, un altro terzo a scuola (400 ore complessive).
Quest’anno ci sono stati 3mila apprendisti, ma dieci anni fa erano quasi 4mila. «Se le classi non raggiungono un numero minimo, i ragazzi si spediscono a Innsbruck, nel Tirolo del Nord, dove ci sono più abitanti e dunque più iscritti» spiega Günther Schwienbacher, direttore dell’Unione provinciale degli artigiani. Risultato? L’Alto Adige ha un tasso di disoccupazione del 4,4%, con quello giovanile che non supera il 12,4. «Funziona, ma ora stiamo lavorando ad alcuni correttivi», spiega il presidente degli artigiani Claudio Corrarati. Come quello di aggiungere un anno in più, il quinto, dopo il quale ci si può iscrivere all’università. Il ragionamento non fa una piega: dopo la terza media, studio, lavoro e stipendio camminano di pari passo. Con la possibilità poi di continuare il percorso formativo fino alla laurea. Una lezione di concretezza per i liceali italiani.
Ergo: il modello altoatesino è una specie di patchwork che pesca le idee migliori da quattro Paesi di riferimento. Nell’enogastronomia l’incontro con l’Italia ha prodotto risultati formidabili. A beneficiarne è stato il turismo, il settore portante dell’economia, con 29,5 milioni di pernottamenti annui. «Un numero che, se rapportato ai nostri 520mila abitanti, proietta il Sudtirolo tra le prime mete turistiche al mondo», dice Arno Kompatscher, succeduto a Luis Durnwalder, dal 1989 al 2014 capo incontrastato della Südtiroler Volkspartei, il partito di raccolta degli altoatesini di lingua tedesca, e della Provincia autonoma di Bolzano.
E proprio “il grande Luis”, come lo chiama amichevolmente Kompatscher, fu il protagonista di una politica di incentivi, aiuti e opere pubbliche che hanno trattenuto nell’alta valle i contadini-affittacamere protagonisti della rinascita turistica. Durnwalder ogni mattina all’alba varcava il pesante portone di palazzo Widmann, sede della Provincia, per ascoltare chiunque avesse bisogno di parlare con lui: dai semplici valligiani agli imprenditori. Prendeva nota della richiesta ed entro una settimana al massimo rispondeva. Un sistema che il giovane Kompatscher, padre di ben sei figli con il settimo in arrivo, non ha replicato: «Preferisco gli incontri nei Comuni alla presenza del sindaco e dei valligiani, che solitamente accorrono in centinaia. Spesso è utile trattare in gruppo singoli problemi per individuare poi delle soluzioni collettive».
Il paternalismo di Durnwalder aveva fatto breccia. E ora, alla non tenera età di 75 anni e papà di una bimba di sei, Durni, come lo chiamano affettuosamente, è stato proposto dalla consigliera provinciale Elena Artioli come candidato sindaco di Bolzano, il Comune capoluogo la cui consiliatura si è interrotta traumaticamente dopo nemmeno sei mesi a causa delle dimissioni del sindaco piddino Luigi Spagnolli. Se Durni sciogliesse la riserva e fosse eletto, sarebbe la prima volta dall’instaurazione del regime fascista di un primo cittadino di lingua tedesca alla guida del capoluogo altoatesino, ormai da quasi cento anni a maggioranza italiana. Il simbolo della rivoluzione pacifica di due comunità che grazie a personaggi come il “grande Luis” e alle generose concessioni di Roma hanno seppellito sotto una ricchezza record di quasi 36mila euro a testa la feuernacht (notte dei fuochi) sudtirolese.