Libero, 21 dicembre 2015
Vittorio Feltri e i suoi gatti
Nella stanza di Montanelli per parlare di gatti. Sono un po’ in imbarazzo direttore. Ci sono l’Isis e Renzi là fuori, il mondo va a rotoli e io ti chiedo dei mici. Feltri sorride. L’immortale Lettera 22 infastidita da un anonimo iPad, e l’ultima sigaretta spenta accanto alla foto di un gatto selvatico sorpreso a scalare un albero innevato. Occhi grigi che inchiodano l’anima e la neve e il mondo a far da comparse.
Come sarebbe Feltri senza i gatti?
«Avrei una vita più povera. Per la compagnia, certo, ma anche da un punto di vista estetico».
Un amore vero?
«Fin da bambino ho molto amato i gatti, li raccattavo qua e là, non li ho mai comprati. Dormivano e dormono con me. Ero attratto più da loro che dai cani, forse perché c’era un pastore tedesco nel giardino di casa mia che mi sembrava enorme. Invece i gatti mi affascinavano, soprattutto i cuccioli, sono prodigiosi nei loro giochi folli e crudeli».
E tu che facevi?
«Li osservavo e studiavo rapito, era un po’ come andare al cinema».
Ma perché li chiami tutti Ciccio?
«Perché rispondono ed è il nome che somiglia di più al versetto che si fa per chiamarli».
Ogni Ciccio una storia diversa.
«E per fortuna campano tanto, anche 18 anni. Quando ne muore uno è un dolore intenso, più che se morisse un parente. Sono come figli per me».
Tua moglie approva?
«Mia moglie ha la mia stessa passione. Ogni volta che le telefono chiedo “come stanno i bimbi?”. I bimbi ovviamente sono i gatti. Ne ho due fissi in casa e due in giardino, che sono selvatici ma che nutriamo e accudiamo».
E i figli che dicono?
«Forse non hai capito. Siamo una famiglia di gattolici praticanti, tutti i miei figli hanno un gatto. Mattia, l’altra mia figlia… Saba addirittura ne ha tre».
E fra poco irromperà nella stanza il fratello Ariel raccontando del suo micione di casa che va matto per la Juve in tv, dove la stranezza non è che guardi la tv ma che tifi Juve. Ma cosa fate voi ai gatti? O loro a voi? Un giorno hai scritto: «Hanno un quoziente di misticismo e magia, non hanno retropensieri».
«Ti dirò di più, sono sapienziali, non riesci a capire la loro psicologia. Quella del cane è trasparente, invece il gatto è un contenitore di misteri. Ciccio per esempio mi studia moltissimo, io lavoro e lui mi fissa. Allora gli chiedo, “che c’è che non va? Ho forse sbagliato cravatta?”».
Dunque ci parli?
«Spesso, anche se fra noi funziona molto la telepatia, basta un cenno per intenderci».
Dimmi di loro.
«I gatti sono riservati, introversi, seduttivi, garbati e pulitissimi, se li sorprendi a fare i bisogni ti guardano costernati. Allo stesso tempo sanno essere autonomi e territoriali, se sei loro ospite devi tenerne conto. Ma amano profondamente il padrone, l’altro Ciccio per esempio…» Il precedente? Dovresti chiamarli Ciccio I, Ciccio II... Feltri sorride e si accende un’altra sigaretta.
«Ho uno studio nella mia casa di Ponteranica dove il sabato mi chiudo a scrivere per un paio d’ore. Il Ciccio di prima si divertiva come un pazzo a zampettare sui tasti della macchina da scrivere. Dopo un po’ lo allontanavo: “Adesso vattene, devo lavorare”. E lui faceva tre metri e si voltava, pareva sempre sul punto di insultarmi. Naturalmente appena finivo tornava, eravamo inseparabili».
Poi è arrivato lui, Ciccio Grigiotto, anzi grigissimo, una rassicurante pancetta
«invernale» (ho scoperto che i gatti ingrassano per ripararsi dal freddo), e il fascino voluttuoso dello sciupafemmine. Basta documentarsi. Ciccio che manda i tweet a mezzanotte
«buona notte a tutti».
Che si struscia sull’acciottolato di casa con la sfacciataggine di un lazzarone nato. Che su una tavola natalizia fa l’equilibrista tra una bottiglia di vino e una fetta di panettone, Feltri da una parte il nipotino dall’altra, pare di vederli mentre si fanno una partitina a poker. Una notte di qualche tempo fa si è portato a casa una micina nera e selvatica. Lei, tipino timido e riservato, lo guardava tutte le sere dal giardino di casa, lui meraviglioso e strafottente si concedeva appena da dietro le grate della finestra al piano terreno. Poi un giorno il gattone ha ceduto e l’ha fatta entrare. Ora i due sono inseparabili e non c’è angolo della casa che non li abbia visti intrecciati in un amorevole abbraccio,
«il sesso no perché sono sterilizzati».
E mentre Feltri scorre veloce le sue foto sull’iPad (non saranno stati i gatti a convertirlo alla tecnologia?) butto lì la domanda: parliamo di femmine?
«Sono più intelligenti dei maschi. Io avevo una gatta che si chiamava Amalia, Terzi me la regalò ché l’aveva trovata al Parco Sempione. Quella micia era incredibile perché accendeva le luci nelle stanze e poi apriva il frigo facendo leva con le zampette. La zoccola per non farsi sorprendere richiudeva sempre la porta».
Amalia, Ciccio, qui sono tutti trovatelli, dico bene?
«Naturalmente, un gatto bastardo non perde le sue caratteristiche, uno di razza sì. I persiani non sono gatti veri. Crescono al chiuso, non vanno in giro ad esplorare. I gatti invece devono muoversi, fare ginnastica, i miei passano un’ora al giorno di follia pura».
Lo sospettavo. Ma cosa provi con loro?
«Mi danno un senso di serenità, guardarli mi placa. Il nostro è un rapporto silenzioso. Detestano i rumori e amano la musica: se gli fai sentire Bach o Chopin ascoltano rapiti, con Vivaldi si incazzano. Quando suono il piano io fuggono dappertutto, il che mi fa pensare di non esser tanto bravo».
Hai litigato con la Bignardi per un gatto.
«Ero suo ospite alle Invasioni Barbariche e lei a un certo punto mi dice: ho saputo che hai la foto del gatto morto sul telefonino. Io mi sono innervosito, prima di tutto perché tutte le foto sono morte e poi perché ritraeva il gatto da vivo. Ho litigato più con la Bignardi quella sera che con mia moglie in tutta la mia vita».
Ma tu ci credi alla svolta animalista di Berlusconi?
«Mi sembra poco sincera, sono convinto che i cani gli rompano i coglioni e adesso che hanno fatto i Dudini ancora di più. Trovarsi la casa piena di cuccioli e cacca, lui così attento all’ordine e alla pulizia, sono sicuro che diventa pazzo».
Sei animalista ma amico dei cacciatori. Non mi torna.
«Sono contrario alla caccia dal punto di vista morale. Il fatto che ci si possa divertire ad ammazzare un animale è davvero tribale. Un tempo si cacciava per mangiare, oggi non è più così, tuttavia penso sia molto meglio un cacciatore che uccide con una fucilata di un allevatore che tiene gli animali in condizioni crudeli. I polli ammassati nelle batterie e i bovini trasportati in condizioni infernali mi feriscono. Per non dire dei pescatori, fanno fare una morte orrenda ai pesci».
Sei vegetariano?
«Non ho quel tipo di filosofia. Ho sempre mangiato poca carne perché non mi piace».
Arriva il Natale, com’è il cenone a casa Feltri?
«Non facciamo grandi cenoni, il Natale mi rompe sempre le balle, certo verranno i figli ma io sono come i gatti, quando turbi il mio equilibrio e le mie abitudini non sto bene. Per fortuna in casa ho una stanza che chiamo il mio bunker dove mi rinchiudo a leggere, la famiglia ormai lo sa. Non sono un allegrone e a Natale non c’è nemmeno il calcio a rompere la monotonia della giornata».
Quanti nipoti hai?
«Cinque. E sono bisnonno di Alessandro che ha tre anni e che ho visto una volta soltanto. Il punto è che mi secca essere bisnonno».
Sono sicura che i nipoti di adorano.
«Non credo proprio, non sono un nonno classico, loro lo capiscono e hanno soggezione di me, quello con cui ho più famigliarità è Tommaso che ha nove anni, è figlio di Fiorenza, mi piace, è divertente, ha un bel linguaggio».
Hai mai fatto pazzie per un gatto?
«Da ragazzino, avevo 14 anni, era novembre e faceva un freddo pazzesco. Ho visto un gattino in una roggia che rischiava di affogare e mi sono buttato nell’acqua gelata, c’erano i rovi e mi sono graffiato dappertutto. Ho buscato una brutta bronchite».
Ti hanno mai deluso i gatti?
«I gatti selvatici devono difendersi. Ma un gatto domestico non è una canaglia, se tu lo tratti bene, si comporta bene però attenzione, può prenderti per il culo. Abbiamo un abete di 30 metri in giardino, Ciccio un giorno si arrampica fin su in cima. Miagolava come un disperato perché non riusciva a scendere, io e mia moglie chiamiamo i pompieri, non ti dico il casino, lui finalmente si fa prendere e corre in casa a mangiare. La mattina dopo stessa scena: lui in cima all’abete noi giù a preoccuparci finché mia moglie mi dice “lasciamolo lì, ci prende per i fondelli”. Due minuti dopo è sceso».
Leggo quel che hai scritto di Mattarella: «Ama e possiede i gatti, non può essere un cattivo presidente». Lo pensi di tutti quelli che hanno i gatti?
«Diciamo che se uno ama i gatti io non riesco ad odiarlo fino in fondo, si stabiliscono delle correnti di simpatia. Alla Boldrini, in un mio libro, ho dato un voto alto solo perché una volta ha salvato un gatto nero».
E se uno ti dice che odia i gatti?
«Mi sta già un po’ sui coglioni».
Ti ha mai detto una donna: scegli, o me i gatti?
«No, ma avrei scelto i gatti. Per fortuna mia moglie li ama».
E si innamorano i gatti?
«Il loro unico amore è la mamma e fanno le fusa perché ciucciano il latte e hanno nostalgia di lei. Quando si accoppiano sono cretini, fanno una furibonda guerra tra maschi per la femmina ma alla fine la femmina scopa con tutti, non l’ho mai capito».
E la favola degli «Aristogatti» allora? Almeno dimmi: vanno d’accordo coi bimbi?
«Coi miei figli Amelia giocava a tennis. Se un bimbo è rispettoso giocano, ma in genere preferiscono gli anziani, sono più lenti e silenziosi nei gesti».
Un po’ come succede con le gattare, vero? Cito dal Giornale: «Persone buone, perbene, delicate, che danno senza chiedere».
«Esatto».
E sulle gattare finisce l’intervista nella stanza che fu di Montanelli e di cui oggi ho un po’ abusato. O ricominciamo dai cavalli?
«L’ultima volta che ho corso al trotto ero a Libero, una gara in notturna a San Siro. Mi danno un cavallo anziano, io lo accarezzo e gli sussurro in un orecchio: non ti dico di vincere ma tu non farmi tribolare e portami vivo al traguardo. Partiamo, 12 concorrenti, io sto appaiato in posizione di testa. Gli altri usavano la frusta, io incitavo con la voce. Il cavallo trova un pertugio e si infila».
E come è andata?
«Stravinto».
Domanda inutile