la Repubblica, 21 dicembre 2015
Le parrocchie non stanno accogliendo per niente i migranti
Viene subito in mente – sarà colpa delle luminarie – la poesia di Guido Gozzano. «La neve. Ecco una stalla. Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…». Difficile, per Giuseppe e Maria, trovare un rifugio per la nascita di Gesù. Difficile – anche in questi giorni di nenie e presepi – per le famiglie di migranti trovare quell’ospitalità chiesta con forza – più di cento giorni fa, il 6 settembre – da Papa Francesco. «Ogni parrocchia – disse il pontefice all’Angelus – accolga una famiglia». Non esiste un censimento ufficiale ma bastano pochi numeri per raccontare come sia stato e sia difficile, nelle 25.000 parrocchie italiane, rispondere all’appello. A Roma città (334 parrocchie) entro la fine di gennaio saranno accolti 170 migranti. A Milano (1.000 parrocchie perché la diocesi comprende anche Brianza, Lecco e Varese) sono a disposizione – o lo saranno presto – 400 posti letto. A Bologna su 416 parrocchie soltanto quattro hanno dichiarato la loro disponibilità. Assieme a cinque privati, due comunità religiose e due altri enti, nell’arcidiocesi bolognese sono offerti in tutto 30 posti letto. E nella quasi totalità dei casi l’accoglienza viene finanziata con i contributi delle prefetture.
Maria Cecilia Scaffardi, direttrice della Caritas di Parma, ammette le difficoltà ma ringrazia comunque il Papa. «Francesco ci ha obbligati a riflettere e ha messo in moto un grande processo di apertura. Anche noi ci siamo impegnati: una decina di parrocchie su 350 (che sono state accorpate in 56 “nuove parrocchie”) ci hanno detto che possono ospitare una famiglia di immigrati. Due di queste parrocchie comunque hanno deciso di accogliere famiglie italiane che erano state sfrattate. Per accogliere bene – questo il motivo del ritardo – non basta il buon cuore: serve professionalità. Non si tratta solo di trovare un appartamento o una canonica. Servono persone capaci di guardare negli occhi le altre persone. Se pensi solo a un tetto e a un letto, rischi di trasformare l’accoglienza in un concentrato di esclusione».
Difficile accusare la diocesi di scarsa sensibilità. Già dal 2011 in un’intera ala del seminario, in piazza Duomo, vivono circa 40 migranti arrivati soprattutto dal Pakistan, con contributi pubblici di Mare Nostrum e Sprar. Nell’atrio, i ritratti di Papa Francesco, del vescovo Enrico Solmi e una statua della Madonna. Nel corridoio, un albero di Natale ed un presepe. La scuola è in una ex cappella. Il 95% degli ospiti è musulmano. «Per le prime nozioni di italiano c’è una religiosa, suor Valeria».
Il primo no agli immigrati in canonica arrivò tre giorni prima dell’appello del Papa a Valle di Castelgomberto, sulle colline vicentine. Un intero paese, in chiesa, urlò contro il parroco don Lucio Mozzo. «I nostri nonni non hanno costruito questa canonica per i musulmani». «E anche l’appello del Papa – dice oggi il parroco – non li ha convinti. Il consiglio pastorale ha deciso di non arrivare al muro contro muro: gli immigrati non saranno ospitati in quella canonica. Ci andrà una famiglia vicentina, che fa parte dell’associazione Giovanni XXIII e ospita giovani handicappati ed ex tossicomani. Per noi preti quella vicenda è stata una prova difficile. Abbiamo capito che a Valle erano pronte le pietre – la canonica era perfetta – ma non le anime. Speriamo che quella famiglia, con il suo esempio d’amore, apra i cuori». Nel vicentino – 350 parrocchie – sono stati trovati 7 appartamenti ma si lavora per aprire una struttura in ognuno dei 21 vicariati.
È la Caritas nazionale a gestire l’accoglienza invocata dal Papa, secondo il Vademecum approvato il 13 ottobre dalla Conferenza episcopale italiana. «Circa 80 parrocchie – racconta Alberto Colaiacomo della Caritas romana – si sono dette pronte a ospitare, ma per ottenere i contributi statali ci sono regole precise. Otto metri quadri a posto letto, un bagno ogni quattro persone… Per questo ci sono i ritardi. Avremo 110 posti in prima accoglienza solo a fine gennaio. Ma stiamo sistemando altre 60 persone in seconda accoglienza: immigrati che hanno bisogno di una mano per integrarsi davvero e restare nel nostro Paese. E questi sono a carico dei volontari Caritas».
«Le proteste ci sono – spiega Francesco Chiavarini della Caritas Ambrosiana – se si concentrano troppi immigrati e se la comunità parrocchiale non viene coinvolta. Noi lavoriamo così: la parrocchia mette a disposizione un immobile poi una coop partecipa al bando della prefettura. Ma sono importanti anche i volontari che affiancano gli operatori professionali. Un pacco di pannolini, una lezione di italiano, una domanda per mandare il bimbo all’asilo… Così il migrante si sente accolto, non solo assistito». «Per dire sì a Papa Francesco – dice Oliviero Forti, responsabile immigrazione per la Caritas nazionale – noi abbiamo lanciato anche un nostro appello: “Un rifugiato a casa mia”. La risposta sembra buona, con un migliaio di persone disposte ad aprire le loro case».
Anche don Giuseppe Miola, parroco di San Bonifacio, su “La voce dei Berici” ricorda la notte del Natale. «Se Maria e Giuseppe fossero passati di qui, un posto lo avrebbero trovato». Nel suo vicariato è stato preparato un alloggio. Ma per migliaia di altri migranti ci sono solo luminarie. E porte ancora chiuse.