Libero, 21 dicembre 2015
Vincino a ruota libera. Parla di banche, di leggi, di Parigi, di Renzi che dovrebbe «ammazzare il papà» e della Boschi che dovrebbe sterminare mezza famiglia «come Erika e Omar», di parlamentari che sniffano cocaina, dei piccioni che fanno i bisogni sul busto di Andreotti e della «bella scuola di satira sull’islamismo» che vorrebbe aprire in Arabia Saudita
Vincino ti vorrei intervistare per Libero.
«Va bene. Le disgrazie quando capitano, capitano».
Vincenzo Gallo, in arte Vincino, è così: generalmente ironico e sarcastico, ma all’improvviso irriverente e corrosivo, con la lingua più puntuta della matita da cui non si separa mai. 69 anni, la prima vignetta disegnata quando ne aveva 11 per il giornalino scolastico, siciliano trapiantato a Roma, Vincino fa satira.
Brutta storia quella delle banche?
«Io una soluzione ce l’avrei».
Avanti.
«Una leggina che impedisca ai toscani di costituire banche».
Bella roba.
«Ma li vedi? Fanno un disastro dietro l’altro, e dire che le banche le inventano loro nel Medioevo. Prendi il Monte Paschi Siena, parlano solo in senese, anche nelle filiali di Roma. I figli della borghesia senese vengono assunti in banca ed è la loro rovina. Non potrei augurare di peggio alle mie due figlie che lavorare in banca».
Quindi una legge contro i toscani.
«La verità è che il governo non doveva salvare le banche».
Come no?
«È un pensiero ardito, ma se una cosa deve fallire fallisce. In Italia si salvano imprese decotte, fuori dal mercato, perché gli operai fuori dalla fabbrica fanno casino».
Lo dici tu, uomo di sinistra?!
«Io sono anarchico».
Ci arriviamo più tardi. L’anno scorso hai scritto «La cavalcata» sulla conquista del potere di Renzi.
«È stato velocissimo, come Berlusconi. Ma Berlusconi aveva capitali, tv cortigiani. Renzi ha fatto da solo».
E ora come lo vedi?
«Ora deve ammazzare il papà».
Scusa?
«Quello là, Tiziano Renzi. Ma perché ha questa barbetta a scopetta così ridicola, quei baffetti e quel cappellaccio nero? Matteo deve ammazzarlo. Come Abramo, porta “Tiziano-Isacco” sul monte e lo fa fuori. La Boschi invece deve ammazzare il padre e il fratello. Come Erika di Novi Ligure, deve sterminare mezza famiglia. Ecco, hai già il titolo dell’intervista».
Fai il bravo. Che resta della cavalcata di Renzi?
«Niente, sbaglia tutto. Per la verità alcune cose le ha azzeccate».
Cosa?
«Dunque… ehm… Fammi pensare... Ah sì, ecco, ha messo uno bravo in Rai».
Campo Dall’Orto?
«Veramente pensavo a Guelfo Guelfi, nel cda. Lui e Freccero sono ottimi».
Tu vivi un po’ a Roma e un po’ a Mondello, in Sicilia, isola di merda per Vecchioni.
«Mi ha fatto arrabbiare. Ma vaffanculo, le auto in doppia fila le becco io, mica te che scendi una volta l’anno in Sicilia. Il problema è la classe politica siciliana».
C’è Alfano al governo.
«Lui è il vuoto totale».
Sempre sfumati i tuoi giudizi. Però i politici vengono votati, non scendono da Marte.
«Il 30% del voto in Sicilia è condizionato dalla mafia, un altro 30% vota “perché uno ha promesso la casa a mio cugino”. Togli gli astenuti, solo il 10% è un voto libero».
Hai visto Cuffaro?
«Un grande politico. Si è fatto il carcere con dignità. Lui sapeva benissimo quali dei 25-30 suoi consiglieri era più o meno legato alla mafia».
Occhio alle querele.
«Io faccio satira, e comunque l’obiettivo dei magistrati era lui, dei consiglieri non frega niente a nessuno».
Dicevi che sei anarchico.
«Tra i fondatori di Lotta continua a Palermo, dove costituimmo il collettivo del quartiere Zen. È stata la cosa più riuscita di tutta la sinistra in città».
Lotta continua, cioè Adriano Sofri, il mandante dell’omicidio Calabresi.
«Lotta continua non c’entra niente».
Sofri non c’entra?
«Assolutamente no. Se Sofri avesse fatto una stupidaggine simile, conoscendo la sua onestà intellettuale lo avrebbe ammesso e si sarebbe fatto meno carcere».
Chi ha ucciso Calabresi?
«Non so neppure se c’entra Leonardo Marino. Ho provato a scoprirlo per tanto tempo e non l’ho capito. Erano anni difficili, si sparava, Calabresi era molto poco popolare. C’era Potere operaio, c’erano sezioni periferiche di Lotta continua, c’era Avanguardia operaia. C’erano tanti cani sciolti».
Sta di fatto che il figlio di Calabresi ora dirigerà «Repubblica» e Sofri smetterà di collaborare.
«Fa benissimo, è una persona educata e non vuole mettere nel minimo imbarazzo il direttore».
In quegli anni sei stato arrestato.
«Due volte. La prima a Gela, nel ’72. Era domenica, nella piazza centrale, distribuivo con tre amici la rivista Il processo Valpreda. Vengono i fascisti a insultarci e i carabinieri arrestano noi».
E che succede?
«Mi portano in caserma e iniziano a picchiarmi. Ma come, ti arrestano e ti picchiano pure? Non è carino. Mi hanno condannato a un anno e otto mesi».
Per quale reato?
«Il carabiniere che mi dava pugni si è fatto un po’ male alla mano. Io avevo venti giorni alla mascella, lui cinque giorni alla mano, questo è il reato. Ho fatto un mese e mezzo di carcere preventivo al Malaspina di Caltanissetta».
E?
«Meraviglioso, un’esperienza che consiglio a tutti. Ho imparato a giocare a dama alla grande, facevo i disegni per i tatuaggi: il pugnale, il serpente trafitto. Stavo benissimo».
Sei finito in carcere anche a militare, poi.
«Sì, nel 1973, dieci giorni di cella. Ero a Pavia e mancavano due giorni al congedo».
Che hai combinato?
«Mi mandano a Milano a un comizio di Lotta continua e io, in divisa, salgo sul palco e dico due stronzate. Appena parlo, parte un corteo che va dai carabinieri per dire che c’è un soldato che fa un comizio. Esco e mi blindano. Mi salva l’allora sindaco di Pavia, Elio Veltri».
Che ha detto?
«Rilasciatelo, è un povero cretino».
In effetti...
«Lo ero. Mi dicono: “Ma lei il giorno prima del congedo va a fare un comizio?” e io me lo ripetevo mentre mi portavano in cella: Vincenzo, ma perché sei così cretino?».
La satira e il potere.
«Il politico che querela ha mancanza di garbo istituzionale. Andreotti non lo ha mai fatto».
Quante volte è capitato a te?
«Non lo so. Quando ero al Male ci querelano due magistrati che poi volevano dieci milioni di lire. Io dissi no, ma i magistrati hanno creato il vero terrore. Molti di loro si sono arricchiti così, con le querele».
La satira ha limiti?
«Nessuno, mai. La satira è ricerca pura: un giorno mi piace Renzi e dico che è bravo, il giorno dopo fa una cavolata e dico che è il peggior nemico dell’umanità. La satira deve poter ragionare per estremi. Alla satira tutto è concesso perché il pittore e il poeta sono liberi. Rileggiti Cecco Angiolieri: “S’i’ fosse foco, arderei’ il mondo”. Se ci pensi è un verso pieno di possibili reati: quello incendiario, incitamento alla rivolta...».
Quindi devi essere libero di ritrarre anche Maometto?
«Sì. Anzi, vorrei aprire una bella scuola di satira sull’islamismo in Arabia saudita».
Verresti condannato a morte dopo un giorno.
«Va bene, ma posso urlare che è insopportabile tutto questo? Bisogna ribellarsi. Se sono frocio là mi uccidono, se mi ubriaco mi ammazzano, se mia moglie mi tradisce la lapidano. È uno schifo».
L’islam dunque c’entra?
«La religione è politica, è conquista, se perde questo ardore non ha più nulla. L’Islam è tutto questo. Noi abbiamo le chiese piene di tombe, sono lugubri, non ci sono più i Savonarola a fare le prediche e infatti le chiese sono vuote».
Tutti urlavamo
«Je suis Charlie».
E ora?
«I francesi mi hanno commosso. La satira è l’estrema difesa dello spirito occidentale enciclopedico, della rivoluzione francese. L’Ottocento è pieno di giornali di satira, la politica è diventata popolare grazie alla satira».
Tu vai spesso in Parlamento perché dici che i politici, per disegnarli, devi guardarli in faccia.
«Anche di dietro, di culo, per la verità. Vedo se hanno le gambe storte, capisco se sono infelici di natura, se tirano di cocaina».
Ah sì, e da cosa lo capisci?
«Beh, escono dal bagno e... sniff, tirano su col naso. Ho studiato l’argomento».
Che classe politica abbiamo?
«Quelli del Pd in Parlamento sono uno più frustrato dell’altro. Stanno lì a farsi insultare dal M5S e non possono neanche premere i pulsanti come vogliono sennò non li ricandidano. Frustrati e insultati».
Forza Italia?
«Han vissuto un momento di grandissima libertà, per cui oggi sono imbecilli allo sbaraglio. Il politico lo misuro così: se parlasse a un comizio mi convincerebbe? Ecco, il 90% di loro no».
Tu odi il M5S.
«Ma no. Sono 150 giovani, per culo capitati là, e stanno imparando a fare politica ma senza pensiero libero. La politica è anche trovare accordi ma loro sono contrari perché dicono “tu sei una testa di cazzo, o firmi questo o sei un traditore”».
Quindi non ti piace Grillo?
«Non mi piace il moralismo. Io sono un disgraziato, per cui posso raccontare gli altri più disgraziati di me. Ma non posso dire che io sono il migliore di tutti. Quando Grillo vuole arrivare al 50% più uno dei consensi con trenta ragazzi ignoranti è pericoloso. Il nazismo entrò in Parlamento dicendo “siamo come lupi in un branco di pecore”, i grillini 2vi scoperchieremo come una scatola di tonno”. La storia insegna tutto».
Dunque non salvi nessuno?
«Mi piace la politica dei radicali perché hanno dei piccoli obiettivi e li ottengono con accordi con tutti».
Hai un busto in marmo di Andreotti sul terrazzo di casa.
«È il simbolo della satira. Lo abbiamo fatto costruire nel 1980, al Male, per esporlo al Pincio. Quando lo abbiamo portato lì, con tanto di orazione celebrativa di Roberto Benigni, è intervenuta la polizia e lo ha sequestrato».
Risultato?
«Andreotti si fa sei mesi di carcere. Il busto, eh. Poi lo recuperiamo, lo mettiamo in carrozzella e gli facciamo fare il giro di Roma, tra festeggiamenti vari. Un po’ come Cuffaro».
E ora ce l’hai sul terrazzo.
«Sì. Ogni tanto i piccioni vanno lì, fanno i loro bisogni ma lui impassibile, muto. E quando piove lacrima un po’, come la Madonna dei miracoli, ma quelli di Andreotti non sono ancora accertati. Ho due candelabri lì e ora accendo le candeline per Natale».
Che tempi corrono, per la satira?
«Stupendi. Renzi è così incazzato coi giornali che sta andando fuori di testa. Devo solo trovare 200mila euro e faccio una rivista. Anzi, lancio un appello, ho anche da proporre un direttore giovane, io farei il direttore editoriale».
Che direttore saresti?
«Inaffidabile, come deve essere un direttore di giornale di satira».