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 2015  dicembre 21 Lunedì calendario

Santa Claus, il mito che affascina gli antropologi

La vigilia di Natale dell’anno 1951 la città di Dijon fu testimone di un evento davvero singolare. Un gruppo di parrocchiani, decisamente tradizionalisti, costruì un Babbo Natale alto tre metri, lo incatenò ai cancelli della cattedrale e lo arse pubblicamente, come se fosse stato un eretico o uno stregone. Quale sarebbe stata la colpa commessa dal buon vecchio vestito di rosso, l’amico dei bambini? Semplicemente quella di aver fatto dimenticare ai fedeli la “vera” storia del Natale, centrata sulla Salvezza, per trasformare la pia ricorrenza in una festa pagana di luci e di merci. L’esecuzione fece scalpore, ovviamente, e a Dijon vi fu anche chi si preoccupò di far resuscitare – altrettanto pubblicamente – il Babbo Natale arso dai bigotti. La reazione più interessante, però, venne dal maggior antropologo francese, Claude Lévi-Strauss. Il quale, in un magistrale saggio dal titolo Babbo Natale suppliziato, si dette a ricostruire la vicenda. Innanzi tutto, chi era veramente il brav’uomo col berretto rosso? Un personaggio importato dagli Stati Uniti, certo, il quale però aveva avuto tanto successo anche nel vecchio continente perché, con il suo avvento, aveva resuscitato memorie presenti (e latenti) da millenni nella coscienza degli europei. Per certo, scriveva Lévi-Strauss, Babbo Natale ha tutte le caratteristiche di una divinità: dispone di una data precisa per la propria festa; ha i suoi fedeli, i bambini; premia i buoni e punisce i cattivi. E aveva avuto la capacità di ridestare in Europa il ricordo di una figura simile: il re dei Saturnali, ossia colui che, durante l’omonima festa romana, godeva dell’effimero privilegio di governare in allegria i cittadini durante lo stesso scorcio di dicembre nel quale, in seguito, sarebbe stato collocato il Natale cristiano. Il saggio di Lévi-Strauss è fra i più stimolanti scritti da questo studioso straordinario. Soprattutto il finale però merita di essere ricordato. Lévi-Strauss richiamava infatti una tradizione romana, già messa in luce da Frazer, secondo cui il re dei Saturnali, dopo un periodo di bagordi, sarebbe stato messo ritualmente a morte. Ecco dunque che quei parrocchiani, mandandolo al rogo, avevano in realtà restituito Babbo Natale alla sua mitica integrità originaria: i devoti di Dijon, credendo di distruggere una superstizione, l’avevano al contrario portata a perfezione. Ed è a questo punto che comincia l’appassionante ricerca di Francesca Prescendi, la studiosa italiana – da anni professoressa di storia delle religioni a Ginevra – che ha ripercorso “à rebours” tutta questa vicenda (Rois éphémères, Enquête sur le sacrifice humain, Labor et Fides, Génève). Se Lévi-Strauss derivava da Frazer la perturbante notizia del supplizio inflitto all’effimero re, Frazer, a sua volta, dove l’aveva trovata? Come stanno veramente le cose? Tutto comincia un giorno del 1896, allorché Franz Cumont, grande specialista di religioni orientali, fa un’importante scoperta alla Biblioteca Nazionale di Francia: un manoscritto del X–XI secolo (ma probabilmente riproducente un originale del V o del VI) in cui si narra del martirio di San Dasio, un soldato romano di stanza in Mesia, regione corrispondente grosso modo alle attuali Serbia e Bulgaria. L’anonimo raccontava che, durante la festa dei Saturnali, i soldati solevano eleggere un re, che per trenta giorni aveva il diritto di godersi la vita e spadroneggiare come voleva: salvo che, alla fine di quel periodo, veniva messo a morte. Dasio dunque era stato scelto per interpretare quel poco invidiabile ruolo: salvo che, essendo cristiano, aveva rifiutato i piaceri “regali” che gli erano offerti, preferendo il martirio immediato alla perdita della vita eterna. La scoperta di questo nuovo testo fece scalpore, il sacrificio del re dei Saturnali era solo una pia invenzione dell’anonimo o la notizia era autentica? Altri studiosi si misero dunque a frugare i testi classici, finché un filologo tedesco, Paul Wendland, suggerì quello certo più inaspettato. Non è forse vero, scrisse Wendland, che anche Gesù fu avvolto in una preziosa veste di porpora; che fu coronato, sia pure di spine; e che i soldati si burlarono di lui chiamandolo “re dei Giudei”? Una qualifica che compare anzi, in acronimo, in cima alla stessa croce del supplizio: INRI, Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum. Gesù insomma proclamato re, deriso e infine suppliziato. Certo la data non corrispondeva – la festa romana si celebrava alla fine di dicembre, la Passione si colloca nel periodo della Pasqua – ma le analogie erano impressionanti. Questo dunque, in rapida sintesi, il “dossier” che Frazer ebbe presente, nel 1900, quando si trattò di dare alle stampe la nuova edizione del suo monumentale Il Ramo d’oro. Nella ricostruzione frazeriana della regalità e della sua storia antropologica, il re dei Saturnali, assieme a Gesù, entrava a far parte della stessa schiera di effimeri re; e si chiudeva con i numerosi personaggi delle culture europee ed extra-europee caratterizzati dalla medesima polarità: regalità e derisione, potere e supplizio. Inutile dire che la presenza di Gesù, in questa compagnia, fu circondata da Frazer di tutte le cautele del caso – ma questo non bastò a metterlo al riparo dagli strali dei suoi critici. Ciò detto, possiamo davvero credere che i Romani abbiano praticato sacrifici umani? E che il re dei Saturnali fosse veramente messo a morte, come si narra nel Martirio di San Dasio? Francesca Prescendi, al termine della sua accurata inchiesta sulle fonti antiche, scuote la testa. Le prove non ci sono. Ardere in piazza Babbo Natale non costituì l’inconsapevole riattualizzazione di un antico rituale: fu solo una cosa stupida.