la Repubblica, 21 dicembre 2015
Sul Natale. Miti e simboli della madre di tutte le feste
Che cos’è il Natale se lo spogliamo del suo significato religioso per esaminarlo con la lente della storia? Tutte le festività di tutte le religioni risalgono ai miti che da sempre accompagnano il genere umano. Il che ne accresce il valore simbolico o, come nel caso del Natale, affettivo dal momento che ogni nuova nascita s’accompagna a sentimenti di gioia, al senso della prosecuzione della vita al di là delle singole esistenze. Proviamo invece a raccontare la festività del 25 dicembre prescindendo dalla tradizione cristiana per stabilirne alcuni connotati, fin dove è possibile, storici. Sia la data, 25 dicembre, sia l’anno, nel nostro caso 2015, sono convenzionali. Uno dei pochi dati relativamente certi che riguardano la vita di Gesù è che pochi giorni dopo la sua nascita avrebbe rischiato di essere ucciso in base ad un decreto del re della Giudea, Erode detto il Grande, che temendo di essere spodestato in base a certe oscure profezie, avrebbe ordinato l’eliminazione di tutti i neonati. Il racconto è sostanzialmente leggendario ma se lo consideriamo veritiero allora se ne può ricavarne una data relativamente certa. Erode muore infatti nel 4 a. C., per conseguenza l’eliminazione dei neonati, la cosiddetta “strage degli innocenti”, dev’essersi verificata prima. Per approssimazione possiamo dire che si sia svolta l’anno precedente: il 5. Quindi, se davvero la nostra era fa decorrere il suo “punto zero” dalla venuta al mondo di Gesù figlio di Giuseppe e Maria, noi dovremmo essere come minimo al 2020 e non al 2015. Circostanza che ovviamente non ha la minima importanza pratica né spirituale, serve solo a mostrare la quantità di elementi aleatori che sempre circondano questo tipo di festività, accrescendone proprio per questo il fascino. Se l’anno è dubbio, ancora di più lo è il giorno. Il periodo dell’anno che gira intorno al 25 dicembre coincide con il solstizio d’inverno, ovvero con la fase in cui il Sole raggiunge nel suo moto il punto di declinazione minima. Dopo questa stasi (“stizio”) le giornate cominciano ad allungarsi, riparte il lungo viaggio verso la primavera e poi l’estate e così via nell’eterno moto degli astri. Il fenomeno del solstizio in cui il sole pare fermarsi prima di invertire la sua corsa, era noto fin dai tempi più remoti; infatti s’ispirano a quella data numerosi culti arcaici. Per restare vicino a noi, i Romani lo chiamavano “sol invictus” o meglio “deus sol invictus” per indicare la divinità del sole che pareva morente durante giornate sempre più corte e buie, e che invece ricominciava a sfolgorare alto nel cielo: ancora una volta vincitore. Anche del dio Mitra, divinità d’origine persiana diffusa a Roma, si diceva che fosse nato in quel periodo dell’anno da una vergine, tema presente in molte religioni. Costantino il Grande, l’imperatore che rese il cristianesimo “religio licita” (313), aveva il sole in tale considerazione da far coniare una moneta dedicatoria con l’iscrizione “Soli invicto comiti” ovvero al compagno sole invitto. Con un suo decreto stabilì inoltre che al sole fosse dedicato il primo giorno della settimana come ancora ricorda la dizione anglosassone Sunday (inglese) o Sonntag (tedesco). Nelle lingue romanze invece si è preferito rinominarla giorno del Signore (domenica, dimanche, domingo). Mi allontano brevemente dal Natale per accennare che qualcosa di analogo è accaduto per la Pasqua: festività in rapporto con l’equinozio di primavera, resurrezione del Cristo secondo la fede, della natura secondo l’ordine delle stagioni. Nelle lingue romanze la “pasqua” ( Pâques, Pascua) riprende l’ebraico “Pesach”; nelle lingue anglo-sassoni invece è indicata come Easter (inglese) ovvero Ostern (tedesco). Un nome che richiama la dea pagana della natura e della fertilità Ostara celebrata appunto in coincidenza con l’equinozio di primavera. Torno al Natale. Le luci che addobbano vetrine, alberi, portali, giardini, le stesse luci dell’albero di Natale stanno ad indicare la volontà, il desiderio di sconfiggere il buio per aprire alla speranza di una nuova luce. Se poi parliamo dell’albero, le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Un albero sempreverde, carico di luci e di doni, è il simbolo trasparente del rinnovarsi della vita, tipico motivo pagano. Secondo gli studiosi le sue origini si trovano in Germania già a partire dal XVI secolo, anzi la città di Riga si proclama sede del primo albero di Natale, come ricorda una targa in varie lingue che fissa la data al 1510. Secondo altre fonti, nel Medioevo tedesco il 24 dicembre si usava fare il “Gioco di Adamo ed Eva” (Adam und Eva Spiele) riempiendo piazze e chiese di alberi con simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del paradiso terrestre. In Italia l’Albero si è diffuso solo negli ultimi decenni mentre la tradizione locale vorrebbe il presepio. Negli ultimi anni ci si è posti il dilemma se l’albero debba essere naturale o sintetico. Personalmente non avrei dubbi: un albero sintetico è bello quanto quello vero e può durare a lungo. Molto malinconico, passate le feste, vedere i poveri alberelli buttati nei cassonetti. Anche se esistono vivai che allevano abeti solo per uso natalizio, resta che mutilare delle radici un oggetto vivente come un albero è molto diseducativo per i bambini. Anche per gli adulti, a pensarci bene.