la Repubblica, 21 dicembre 2015
Il meraviglioso Donald Budge, primo tennista a vincere quattro grandi tornei in un anno
Non posso affermare di ricordarlo bene, la prima volta che lo vidi, perché avevo otto anni. Ma nel mio tema del 1938, terza elementare, scuola Baracca di Como, poi riprodotto nel libro “Wimbledon“(Mondadori 2013), si legge, a proposito del mio primo viaggio a Wimbledon, grazie all’invito di un amico di papà, Lord Daniel Hanbury, proprietario dell’omonimo Tennis Club di Alassio: “Sono entrati in campo due giocatori elegantissimi nei loro vestiti bianchi, uno di questi due era l’americano Donald Budge, il più forte giocatore del mondo, che guarda caso incontrava il più alto del mondo, l’irlandese Rogers, che mi aveva fatto l’autografo ad Alassio, il mio primo torneo, dove ero stato battuto dal romano Sabbadini, che però aveva 6 anni più di me. Rogers era famoso, oltre che per la statura sopra i due metri, per un servizio bomba. Ma quell’americano con i capelli rossi lo ha scoraggiato con delle risposte di rovescio che sembravano schiaffi, e gli ha dato addirittura un 6-0. E così l’americano ha vinto il suo quarto turno, e poi, come ho letto sulla Gazzetta, quando sono tornato in Italia dopo il gran viaggio in aeroplano, ha vinto anche il torneo, senza perdere un set. Dicono che è un record, e un altro record è quello che mio papà che gioca a bridge chiama Grand Slam, e non l’ha mai vinto nessuno, sono quattro campionati in Australia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, e a Budge manca solo l’ultimo”. Dopo quel torneo, lessi che Donald Budge aveva vinto anche a New York, e ora, dopo essermi plagiato, copio l’introduzione di un libro scritto da uno dei due adattatori del termine bridgistico, Allison Danzig, (l’altro fu Kieran) del New York Times, che andai a conoscere insieme a Collins, cinquant’anni più tardi, in una casa di ritiro americana. “Il 20 luglio del 1937, Donald Budge e il Barone Gottfried Von Cramm raggiungevano il culmine del più grande match di Davis di ogni tempo, durante l’incontro USA-Germania. Le squadre erano sul 2 pari. Nel quinto set del match decisivo, Don andò vicino alla sconfitta, a 1-4, ma si riprese miracolosamente, e il tabellone mostrò alla fine 6-8 5-7 6-4 6-2 8-6. Gli Stati Uniti giunsero così al Challenge Round contro la Gran Bretagna, che avrebbero battuta (...). Don Buge è il solo ad aver vinto i 4 Grandi Tornei nello stesso anno, nel 1938. È l’unico al mondo ad aver vinto singolo, doppio e misto a Wimbledon e New York nello stesso anno. Per di più, negli ultimi tre anni ha vinto tutti i suoi match di Davis. (...) Diventando ora professionista,la sua influenza sul gioco rimarrà viva ancora per tanti anni futuri”. Prima di parlare di nuovo del presunto “più grande match di ogni tempo”, vediamo chi fu Donald Budge. Fu un prodotto dell’immigrazione americana. Suo papà era stato, prima di raggiungere Oakland, in California, calciatore dei Glasgow Rangers. Bambino, iniziò a giocare a calcio e baseball, e quest’ultimo sport gli fu utile per creare un gesto insolito, un rovescio simile a chi tenga tra le mani una mazza, il suo colpo probabilmente migliore. A 19 anni fu selezionato dal famoso capitano Walter Pate nella squadra di Davis, e l’anno seguente perse dall’allora n.1 mondiale, l’inglese Fred Perry, a Wimbledon e allo US, ma lo batté nel grande torneo del Pacific South West. Nel 1937 Fred Perry divenne professionista, come accadeva in quei tempi a tutti i n.1 mondiali, e Budge lo sostituì. Vinse Wimbledon e il Campionato USA a Forest Hill (5 km da Flushing Meadows)battendo 2 volte in finale Von Cramm e condusse gli Stati Uniti alla prima vittoria in Davis negli ultimi 11 anni,contro la Gran Bretagna. Alla fine di simile stagione memorabile, gli fu assegnato il Sullivan Award, quale miglior atleta americano omnisport, che nessun altro tennista ha sin qui raggiunto. Budge rifiutò allora, e ricco ancora non era, le offerte professionistiche, e il 1938 si rivelò il suo anno migliore, batté il grande bimane australiano Bromwich, che mi disse, cinquant’anni più tardi «mi ha fatto capire che avrei dovuto impugnare a una mano». Dopo aver perso un solo set nei campionati d’Australia, riuscì a perderne ben 3 in tutto il Roland Garros, che vinse contro il mitteleuropeo Menzel. E, in tutto Forest Hills ne smarrì solo uno, contro il suo partner di doppio Mako, in finale: Grand Slam, il primo della storia. Budge si decise allora a passare pro, battendo, di fronte ai 17.000 spettatori del Madison Square Garden di New York, Ellsworth Vines, precedente n.1 mondiale, lasciandogli 9 games in 3 set. Nel tour seguente superò Vines per 21 match a 18, Perry per 18 a 11, e il vecchio Tilden, quarantasettenne, per 51 a 7. Nonostante, durante il servizio nelle Forze Aeree si fosse ferito a una spalla, continuò a esibirsi tra i pro, e fallì di poco il successo contro il nuovo campione USA, Riggs, per 22 match contro 24. Di lui Tilden disse: «Lo considero il maggior tennista che sia mai esistito». Di Bugde è rimasto storico il match di Davis, contro Gottfried Von Cramm, nel luglio del 1937. Antinazista, condannato per omosessualità dai nazisti, per questo escluso dai dirigenti inglesi da Wimbledon 1939, che avrebbe quasi sicuramente vinto, contro Bobby Riggs, battuttissimo la settimana prima al Queens (come fui il primo a osar di scrivere nel 1970, in tempi omofobi), Von Cramm riuscì, un giorno del 1951, ventenne, a farmi immaginare di divenire un buon tennista, annullandomi un set point nel corso di un match a San Remo. La storia del “più famoso match di Davis” tra Gottfried e Budge, che lo stesso Von Cramm rifiutò in seguito di concedermi – Lasciami dimenticare il passato» disse, mentre prendevamo un tè a Wimbledon – è raccontata da Marshall John Fisher, (“Terribile Splendore”): narra la telefonata che il dittatore avrebbe fatta a Gottfried prima che scendesse in campo, a Wimbledon, per USA-Germania. Mai si seppe cosa gli avesse detto veramente Hitler, poiché, della telefonata, mentre i due scendevano in campo, fu testimonio soltanto l’ex-tennista e sarto Ted Tinling, un uomo che conobbi, e che nella vita e nelle sue memorie, sempre ha confuso la creatività con la realtà. Sul campo, Gottfried si ritrovò avanti, dopo aver vinto i primi due, per 4-1 nel set finale, mentre sull’erba si allungavano le ombre della sera, e fu lì che Don si rivolse al disperato capitano Pate, per dirgli «non preoccuparti, sono solo sotto di un break». A 2-4 Von Cramm ruppe una corda della sua Dunlop, e dovette cambiar racchetta, mentre la folla lo incitava, poiché con la sua grande eleganza era divenuto il beniamino della maggior parte degli spettatori, tra i quali non mancavano i fascisti inglesi di Mosley, insieme a molti filotedeschi. A Gottfried erano dunque necessari 8 punti per concludere, e per assegnare la Davis alla Germania. Ma Budge, trovo nei gornali, parve allora «impazzito e ispirato», e chissà se non fossero le corde della nuova racchetta di Cramm, ad aiutarlo. Fece il break, poi tenne la sua battuta, riapparigliò, e sul successivo 7-6 concluse al sesto match point con un disperato diritto lungo linea, dopo il quale cadde disteso sull’erba. Von Cramm, che già si era guadagnato il pubblico, rimanendo in campo zoppicante dopo un incidente muscolare nella finale perduta nel 1936, e scusandosi per il povero spettacolo, trovò il coraggio di abbracciare l’americano, e di dirgli di essere felice per lui. Seguì purtroppo per lui, sconfitto, capace di definire Hitler «un imbianchino», e colpevole di una omosessualità comprovata in tribunale, un anno di prigione e di lavori forzati. Ne venne liberato in seguito a una lettera ispirata da Budge agli sportivi di tutto il mondo, all’amicizia del re del tennis, Gustavo V di Svezia, che riuscì ad accoglierlo a Stoccolma, alla fermezza della madre Jutta che fronteggiò addirittura Goering. E, ritornato temporaneamente in campo dopo che Budge passò al professionismo, nel ’39, rimase per sempre amicissimo di quell’esemplare avversario. Fu, Don, un grand’uomo, oltre che un grande campione. Nel corso della mia vita londinese, l’avrei rivisto un giorno su un campo di Wimbledon, lui e il meraviglioso rovescio, mentre si allenava per una gara veterani, negli Anni Settanta, e cioè a 55 anni. Ma il destino doveva farmelo incontrare personalmente, la sera in cui, negli Anni ’90, stavo aspettando, nella hall della famosa brasserie Lipp, a St Germain, una nota attrice, grazie al nome della quale mi era stato subito concesso un tavolo. Budge, accompagnato dalla moglie, si fece avanti timidamente, chiedendo un posto, che gli fu rifiutato con malagrazia da un maitre. Indignato, chiesi a quel tipo se mai sapesse chi era Budge. Sempre scortese, rispose che non gli interessavano i turisti americani, e mi fiondai allora dal direttore, per far sì che offrisse il mio tavolo al campione. Cosa che avvenne, mentre, sorridendo, dicevo a Budge che l’avevo riconosciuto, e che, “tennis nut“qual ero, lo ammiravo. Non dovevo più vederlo, mentre mi accorgo di qualcosa che non farà felici i fans di Djokovic. I due vincitori del Grand Slam, Budge e Laver, avevano i capelli rossi. Nole è bruno. Voilà.