Corriere della Sera, 21 dicembre 2015
Ancelotti e Guardiola che si danno il cambio al Bayern
A pensarci bene il copione è identico a quello di Pep Guardiola: stessa trama, stesso regista. Anno sabbatico, il corteggiamento dei club di mezza Europa e poi all’improvviso la sorprendente soluzione del giallo: il Bayern Monaco, l’annuncio urbi et orbi da parte di Karl Heinz Rummenigge, le parole di compiacimento del kaiser Franz Beckenbauer. Tutto deja vu, inclusa l’orchestrazione occulta da parte di Giovanni Branchini.
Tre anni fa Guardiola traslocò in Baviera dopo essersi disintossicato dallo stress delle stagioni al Barça. Anche vincere alla fine logora. Oggi un percorso professionale in fotocopia tocca a Carlo Ancelotti, sfibrato dai due anni di convivenza con Florentino Perez, presidente madridista che per acume di pensiero ed efficacia delle strategie potrebbe fare comunella con il nostro Maurizio Zamparini.
A Vancouver, dove dalla scorsa estate ha piantato armi e bagagli, Carletto nostro è stato informato delle parole di Rummenigge, che ieri in tarda mattinata ha dettato la notizia della sua assunzione al Bayern. Al culmine di un triennio come sempre caratterizzato da ricchi premi e cotillon, Guardiola l’anno prossimo se ne andrà infatti al Manchester City rimpiazzando Pellegrini.
Ancelotti, che a giugno aveva cortesemente rispedito al mittente Adriano Galliani, ha scelto il Bayern soprattutto per una questione filosofica: la politica del club, ricco ma attento a non sperperare i soldi, la sua solidità, la sua capacità di programmare, hanno avuto la meglio sull’ingaggio. Manchester United e Chelsea gli avrebbero garantito la luna, a Monaco troverà soprattutto autorevolezza e competenza. A Madrid lo avrebbero addirittura ripreso a braccia aperte, parliamo dell’opinione pubblica trascinata dal capopopolo Cristiano Ronaldo, ma per Florentino Perez un suo ritorno al posto di Rafa Benitez sarebbe stato come ammettere di essere un asino, ovviamente calcisticamente parlando.
C apitolo a parte è quello riguardante la Roma. Che le ha provate tutte per convincere il vecchio amico Carletto. Il quale si diverte a fare il cuore giallorosso in servizio permanente effettivo ma al momento del dunque ha fatto esattamente come dicono nella Capitale: s’è dato... Società precaria nelle strutture, indecifrabile a livello dirigenziale, ambiente (inteso come tifoseria e opinione pubblica) più inquinato di Milano in questi giorni di smog fuori dalla norma. Per questo Ancelotti s’è rifiutato di prendere in considerazione la Roma made in Usa.
La verità è che il calcio di casa nostra viaggia in braghe di tela e gli allenatori migliori ce li possiamo sognare soltanto nei titoli dei giornali. Come dimostra il caso di Mourinho, trombato dal Chelsea, ma subito piazzato proprio alla Roma, come se non sapessimo che per sponsorizzare l’ex Special One e la sua campagna acquisti servirebbe come minimo qualche pozzo di petrolio di proprietà o un bel gasdotto.
La scelta di Ancelotti da parte del Bayern si inserisce nel solco di una tradizione che per la panchina privilegia personaggi di un certo spessore, educati, lavoratori indefessi: come il Trap di 18 anni orsono, come Guardiola. E a far pendere la bilancia dalla parte dell’ex ragazzo di Reggiolo che a Milanello spopolava quando intonava «Io vagabondo» dei Nomadi, ha provveduto pure la convinzione che dopo tre stagioni di calcio scientifico fosse utile soprattutto un po’ di buonsenso, non un ayatollah. Dal canto suo Carletto fino all’ultimo ha depistato anche gli amici inducendoli a credere alla pista-Chelsea e ieri, in ossequio agli ordini impartiti dal suo nuovo club, ha risposto nein a tutti coloro che sono riusciti a intercettarlo. Prosit.