Corriere della Sera, 21 dicembre 2015
Sulle lezioni di finanza a scuola
Riterrei improcrastinabile l’insegnamento di elementi di economia e finanza fin dalle scuole medie. Quello che è successo in questi giorni in seguito alla fallimentare situazione delle 4 banche è gravissimo, e gravissima è la colpa dello Stato che ritiene sia assolutamente importante che gli alunni apprendano fra l’altro l’inglese, l’informatica e l’educazione fisica, ma non l’economia, la finanza e il fisco. Non è possibile che il sistema scolastico porti gli allievi all’ingresso della maturità senza un minimo di conoscenza del sistema economico, finanziario e fiscale e che li lasci in assoluta balia dei gestori del risparmio senza avere la minima idea di quello che potrà succedere ai loro risparmi. Senza, oltretutto, un minimo retroterra per giudicare l’azione economica dei governi e conseguentemente votare. La differenza fra obbligazioni subordinate e senior, il rapporto remunerazione/rischio, per fare qualche esempio tipicamente finanziario, e in campo economico l’importanza del rapporto debito/Pil, lo spread, e molto altro ancora. Tutte nozioni che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di chiunque: solo la scuola può assolvere questo compito.
Ludovico V. Sanseverino
Caro Sanseverino,
Nel progetto originario della «buona scuola» l’insegnamento di nozioni economiche e finanziaria sembrava essere finalmente riconosciuto importante per la formazione dei giovani. Ma nel programma approvato dal Parlamento e varato dal governo, l’economia e la finanza erano scomparse. Il problema, verosimilmente, era il denaro. L’introduzione di una nuova disciplina nei programmi scolastici richiede i fondi necessari per la formazione e l’impiego di nuovi docenti. Si potrebbe ovviare, forse, con qualche ritocco alle altre discipline, ma non sono esperto e non saprei dare suggerimenti.
Non è del tutto vero, comunque, che economia e finanza siano completamente assenti dalle aule scolastiche. Mentre sono materie d’insegnamento in quasi tutti i licei francesi, in Italia esistono i Licei economici e sociali in cui queste materie vengono insegnate; ma i loro studenti sono, più o meno, il 2% dei liceali italiani. Esistono gli istituti tecnici, ma la percentuale del totale degli studenti di media superiore che seguono corsi di economia e finanza non sarebbe più del 15%: troppo pochi per l’importanza che queste discipline hanno assunto nella nostra vita.
I giornali hanno fatto del loro meglio, in questi anni, per spiegare in termini comprensibili i grandi terremoti finanziari, dal fallimento di Lehmann Brothers alla crisi dell’euro; ma la finanza è una prodigiosa macchina linguistica, capace di sfornare termini nuovi con una frequenza pressoché quotidiana. Un contributo potrebbe venire dalle Università private. Se la Bocconi decidesse di creare un liceo economico e finanziario, la nuova istituzione innalzerebbe considerevolmente il livello di preparazione dei giovani che seguiranno i corsi di laurea della casa madre e diventerebbe un modello didattico per altri licei pubblici e privati. Se questo impegno sembrasse eccessivo, la Bocconi potrebbe organizzare corsi per i licei milanesi. Occorre evitare crisi favorite dalla disinformazione e dall’approssimazione; occorre difendere il cittadino-cliente con la diffusione di una maggiore cultura economica e finanziaria.