Corriere della Sera, 21 dicembre 2015
Lo smartphone, il walkie-talkie del XXI secolo
Alessandro, milanese 28enne, ormai non fa altro nei gruppi creati su WhatsApp: prende il telefonino, registra la sua voce e manda il tutto ad amici e conoscenti. Spesso si tratta di avvisi sull’organizzazione della serata. A volte di finte trasmissioni radiofoniche. Altre ancora di battute. «La scrittura è così fredda», spiega lui. «Con il sonoro mi trovo più a mio agio». Non è l’unico. Da qualche mese c’è un piccolo esercito di persone che gira – in ufficio, sui mezzi pubblici, per strada – con il telefonino attaccato all’orecchio in orizzontale, non in verticale, dove si trova l’altoparlante integrato. Sono lì ad ascoltare gli audio degli altri. E basterebbe accedere ad alcune delle app più usate per chattare per accorgerci che nell’archivio delle conversazioni il testo è meno presente di prima, mentre i messaggi vocali occupano più spazio (e memoria del telefonino). È il ritorno alla voce. Una frenata dello scritto che spesso porta a errori di battitura, a perder tempo nella lettura, a distrarci (e la distrazione rischia di essere fatale). Non è un caso se tra i fenomeni digitali del momento c’è «Roger», l’app che consente di inviare e ricevere audio e basta e che, come racconta Jonah Bromwich sul New York Times, può essere definito «il walkie-talkie del XXI secolo». È un altro modo di utilizzare lo smartphone, una via di mezzo tra la telefonata (che i giovani ignorano e in certi casi offre poco tempo per la riflessione) e la messaggistica istantanea (impersonale e scomoda). Da WhatsApp a Facebook Messenger, da iMessage a WeChat, è stata tutta una corsa a migliorare la qualità delle registrazioni. Così forse è meglio ascoltare «Buon Natale» inviato, magari, dall’altra parte del mondo che riceverlo in dieci caratteri (punti esclamativi esclusi).