Corriere della Sera, 21 dicembre 2015
In Norvegia fanno corsi per migranti su come si trattano le donne
«Che cosa può pensare, e come può reagire, un uomo che ha sempre visto la madre o la fidanzata circolare in burqa, di fronte a una ragazza in calzoncini che gli sorride in una discoteca?». Questa domanda, la maggioranza del Parlamento danese se l’è posta davvero, nelle ultime settimane, davanti a una statistica ufficiale: fra gli uomini recentemente immigrati da Paesi di stretta osservanza musulmana, la possibilità che venga commesso uno stupro o un qualunque abuso contro una donna è di tre volte più alta che fra i cittadini danesi «doc». Perciò, anche la Danimarca farà presto quello che hanno già fatto la Norvegia e la Baviera tedesca, quest’ultima rivolta agli alunni adolescenti: attraverso corsi regolari annessi a quelli linguistici, insegnerà l’educazione sessuale ai suoi ultimi arrivati, secondo i criteri morali e legali dell’Occidente. Con una differenza, rispetto a Oslo e Monaco di Baviera: a Copenhagen, i corsi saranno obbligatori e non volontari. Questo, perché la situazione viene già giudicata più grave che altrove: mentre gli immigrati extracomunitari rappresentano circa il 12% della popolazione totale danese, fra il 2013 e il 2014 erano immigrati o figli di immigrati il 34,5% dei condannati per stupro.
In tutti e tre i Paesi, i temi principali dei corsi di formazione (così vengono chiamati) sono o saranno comunque gli stessi: come trattare una donna, imparando a rispettare la sua dignità e le sue libertà personali; come apprendere che non è proprietà del marito, del padre, del fratello; come accettare che le leggi del nuovo Paese di residenza non obbediscano a precetti religiosi ma ai diritti universali degli uomini e delle donne. La Norvegia, primo Paese ad aver attuato l’esperimento finanziato dal governo già dal 2013 (4 o 5 ore di corso alla settimana, affiancate all’insegnamento del norvegese), sembra darne ora un primo giudizio positivo, come ha rilevato ieri anche il New York Times. Tutto iniziò dopo un’ondata di stupri nella città industriale di Stavanger, atti che spesso avevano un immigrato come sospetto colpevole. Le associazioni che si occupavano dell’integrazione interetnica diedero subito l’allarme: non era un problema risolvibile solo da poliziotti e magistrati, ma una «frattura» culturale profonda molti secoli. Negli ultimi anni è prevalsa invece la preoccupazione di discriminare i migranti e bollarli come «potenziali stupratori», e così la maggior parte dei governi europei ha evitato di affrontare la questione.