il Giornale, 20 dicembre 2015
Le 1.001 battaglie che hanno fatto la storia
La prosecuzione della storia con altri mezzi, per parafrasare la famosa frase di Carl von Clausewitz (1780-1831). Il momento in cui il conflitto di civiltà, come lo chiamava Samuel P. Huntington, raggiunge il parossismo e si trasforma in guerra aperta, magari decisa da una singola violentissima battaglia. Di questo si occupa Andrea Frediani in La storia del mondo in 1001 battaglie (Newton Compton, pagg. 668, euro 12). Mette il fermo immagine su mille e uno «istanti» in cui il destino di un popolo, di un impero o di una fetta di mondo è stato deciso a colpi di cannone o con una carica di elefanti. È una prospettiva singolare che delle vicende umane sceglie di prendere in esame solo le fasi di stress, quasi seguendo la massima di Eraclito secondo cui «la guerra è madre di tutte le cose». Ma è una prospettiva efficace, soprattutto perché Frediani, consulente scientifico della rivista Focus War, sul tema sa il fatto suo e nella scelta degli scontri da raccontare non propende mai per lo scontato. Così uno può scoprire che la battaglia navale di Hansado (14 agosto 1592 d. C.) è stata, per i coreani in lotta contro i giapponesi, l’equivalente di ciò che Salamina (23 settembre 480 a. C.) è stata per i greci in lotta con i persiani. Oppure che la battaglia di Ostia (849 d. C.) ha salvato la cristianità dai saraceni quanto la molto più celebre e grande battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571). E se 1001 campi di battaglia vi sembrano tanti Frediani vi spiega, nell’introduzione, che data la propensione umana a risolvere le questioni a fil di spada anche solo per avere una summa attendibile ci vorrebbe un’enciclopedia delle battaglie. Quelle elencate sono solo l’imprescindibile e con un certo rischio di omissione. Noi qui, per darvi un assaggio del tema del libro ne abbiamo riunite alcune, accostandole per tipologia, anche a rischio di qualche parallelismo un po’ forte. Ma non c’è vittoria senza rischio. A VOLTE RITORNANO Ci sono luoghi dove per un motivo o per l’altro si torna a combattere sempre. Le Termopili erano le porte della Grecia e tutti si ricordano lo scontro che contrappose gli Spartani ai Persiani nell’agosto del 480 a.C. Ma questa è solo una delle battaglie delle Termopili. Si combatte di nuovo lì nell’inverno tra il 279 e il 278 a. C. Questa volta è un’orda di celti, ben 160mila, che cerca di invadere la Grecia. A fermarli ci sono gli opliti etoli. Ne fanno strage con la stessa tecnica già usata da Leonida. I celti provano ad aggirare i greci come fecero i persiani, ma questa volta i greci prevedono la mossa e contrattaccano. Una carneficina di «barbari». Ma non è finita, nel 191 a. C. a difendere il passo contro i romani sono Antioco III e i tessali. Per un po’ le truppe di Antioco reggono, sfruttando il vantaggio della stretta. Ma per fermare la perfetta macchina da guerra delle legioni non basta. Se volessimo, invece, citare un esempio più vicino e sul nostro territorio basterebbe citare Custoza. Ci si combatte due volte, il 25 luglio 1848 e il 24 giugno 1866. Alle truppe sabaude è andata sempre male (la seconda volta più per gli effetti sul morale che per il vero esito sul campo). E se si fa a cazzotti spesso anche a Dunkerque (1648 e 1940) o a Durazzo, un record di battaglie se lo aggiudica il delta del Nilo, dove i faraoni si scontrano un sacco di volte con i popoli del mare e dove, a migliaia di anni di distanza, Nelson tornerà lì per cogliere una delle sue vittorie più belle, la battaglia del Nilo del 1798. IL COLPACCIO DI FORTUNA Teorici e tattici di tutti i tempi hanno cercato di dimostrare che la fortuna in battaglia non esiste. A esaminare le 1001 battaglie analiticamente vien da dire che qualche ruolo bisogna pur riconoscerglielo. Nella battaglia di Hastings, 14 ottobre 1066, i sassoni di Harold Godwin resistono ai normanni di Guglielmo il Conquistatore per tutto il giorno. E non c’è carica che tenga. Poi una freccia finisce in un occhio a re Harold e i sassoni sbandano. Poteva anche non finirci. E non è un caso isolato. INUTILI MA FAMOSE Ci sono scontri che in realtà hanno avuto importanza bellica nulla ma che sono entrati nella storia. Il caso più clamoroso è la battaglia (ma andrebbe chiamata scaramuccia) di Little Big Horn. Costò la vita all’imprudente Custer e a 250 dei suoi uomini, ma non cambiò il destino degli indiani. Carlo V, invece, viene ritratto, a cavallo e trionfante, da Tiziano dopo la battaglia di Mühlberg del 25 aprile 1547. Vinse ma fu una vittoria amara che non impedì ai protestanti tedeschi di andare per la loro strada. Alla fine della battaglia non cavalcava, era in lettiga, malato. Ma si sa, la propaganda... Lo sapevano bene anche il faraone Ramesse II e il re ittita Muwattali. Si scontrarono nei pressi della cittadina fortificata di Kadesh (attuale Siria) attorno al 1285 a. C. Se le diedero di santa ragione (prima sembrarono prenderle gli egizi, poi gli ittiti). Alla fine tutti tornarono a casa cantando vittoria, tanto che Ramesse II fece istoriare i suoi templi con immagini gigantesche della sua versione. Con le guerre in Siria spesso finisce così.TUTTO PER TUTTO Quando si arriva sul campo di battaglia per giocarsi il tutto per tutto di norma si è perso in partenza. Succede ai tedeschi nelle Ardenne (16 dicembre ’44-15 gennaio ’45), succede a Napoleone a Waterloo (18 giugno 1815), ad Annibale a Zama (18 ottobre 202 a.C.). Il sogno della grande battaglia sovvertitrice appartiene spesso a chi sa che in un conflitto lungo il nemico lo schiaccerà con la forza dei numeri o della tecnologia. Del resto Annibale era un genio ma non conosceva Sun Tzu: «Gli strateghi vittoriosi hanno già trionfato, prima ancora di dare battaglia; i perdenti hanno già dato battaglia, prima ancora di cercare la vittoria».