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 2015  dicembre 20 Domenica calendario

Che idee ha Giorgetto Giugiaro adesso che l’avventura Volkswagen è finita

Se pensate che Giorgetto Giugiaro, chiuso il capitolo Volkswagen, faccia il pensionato di lusso, vi sbagliate di grosso. Sì, un po’ più di tempo in casa (e già la moglie Maria Teresa sbuffa) e una maggiore vicinanza ai quattro nipotini figli di Fabrizio e Laura, ma nella testa del grande designer frullano ben altri pensieri. «Ho sempre guardato al futuro – dice –, il passato non mi interessa. Se penso all’Italdesign, non provo emozioni o rimpianti. Quando cinque anni fa l’abbiamo venduta ai tedeschi, in famiglia erano costernati, ma io non ho vissuto per creare un’azienda, ho cercato di realizzare dei progetti, dei sogni, passando dall’uno all’altro. E se vedo girare le auto che hanno la mia impronta, sono contento, ma nulla più».
Il ritorno sulla scena
Attenti, però, Giugiaro non è un uomo freddo. Si emoziona, eccome, anche se in un modo tutto suo. È un creatore, che nell’innovazione trova entusiasmo e ispirazione. Adesso, non è un segreto, sta preparando il ritorno sulla scena con la preziosa collaborazione del figlio Fabrizio, che già possiede un’avviata società di architettura. «Faremo – spiega – uno studio di design con un ufficio di ingegneria. Ci occuperemo di realizzare prodotti fattibili sul piano industriale, ma non di sviluppo. Come in passato insieme con Fabrizio curerò la parte creativa, a lui toccherà anche quella gestionale, di cui non mi voglio occupare. Andremo in una sede idonea, qui a Torino. Ho in corso vari contatti con diversi gruppi asiatici ed europei, sceglierò quello che mi offre le garanzie migliori». In particolare un contratto quinquennale. E il nome? «Non posso usare il mio, che è ormai un brand di Volkswagen, ne inventerò uno».
La nuova frontiera
Giorgetto è di una semplicità disarmante. A 77 anni ha la freschezza di un giovane, tanto che non ha perso la passione per il trial. Scorrazza in moto per i monti intorno alla sua Garessio con una fisicità invidiabile. E, al riguardo, ha un sogno, quello di avere un mezzo capace, sollevandosi, di fargli superare gli ostacoli più insidiosi. «Siamo – afferma – nel miglior periodo della creatività progettuale e il mio desiderio è vedere qualcosa di impossibile diventare possibile. Come volare. Ci sono i deltaplani, i parapendio, ma io penso a una semplice tuta che permetta all’uomo di librarsi nell’aria come abbiamo visto in certi film di fantasy. Basterebbe alzarsi di 30-40 metri. Vi confesso che già all’Italdesign avevo studiato il problema e trovato le soluzioni con tanto di disegni. Gli ingegneri mi avevano guardato interdetti, salvo poi apprezzare l’idea. Una volta Piech ammise che noi abbiamo delle intuizioni uniche sul futuro dei prodotti. Certo, le idee vanno poi elaborate e per alcune occorre il supporto di istituzioni e leggi».
L’ibrido e i presuntuosi
Il discorso torna sull’auto. «Premesso che ritengo il Diesel il tipo migliore di motore, è chiaro che vicende come il Dieselgate incrinano la fiducia dei consumatori. Qualche tecnico a Wolfsburg ha voluto essere troppo brillante. Non credo che i grandi capi ne fossero a conoscenza. Adesso abbiamo realtà tecnologiche già consolidate come le ibride e altre che entrano in scena come le elettriche pure e le vetture a guida automatica. Credo nelle prime più che nelle seconde, anche se quest’ultime sono tecnicamente le più valide per piacevolezza di uso e la possibilità di realizzare design originali. Ma checché si dica non sono equiparabili come autonomia ai modelli tradizionali. E mi domando cosa accadrebbe se milioni di utenti alla sera si attaccassero insieme alle prese di corrente. Quanto ai veicoli come quello di Google, siamo in fase sperimentale. A Silicon Valley hanno la presunzione di far nascere un nuovo mondo. Possiedono enormi risorse finanziarie, oggi superiori a quelle dei gruppi automobilistici, ma affrontano una sfida difficile sotto molti aspetti sociali e regolamentari. Apprezzabile, ma qui il futuro è davvero lontano».
Troppo design barocco
Sull’evoluzione del design Giugiaro è tranciante. «La gente continua ad amare la “bella” auto, e i ragazzi che giocano con le playstation non rinunceranno alla mobilità individuale, che ti porta a conoscere il mondo reale. Ma vedo modelli eccessivamente kitsch, direi barocchi. È poco educativo dal punto di vista estetico, ci vorrebbero più rigore ed equilibrio. Ma tutti cercano di indovinare la scultura più eccitante, puntando soprattutto sul frontale. Il marketing dà la sue indicazioni, ma molti progetti si basano sui trend attuali e notiamo troppe imitazioni. L’innovatore è un visionario, come Steve Jobs: io in tempi lontani ho fatto il taxi di New York e la Megagamma, ad esempio, vetture con forte sviluppo in altezza che hanno davvero segnato una svolta».
Ma c’è ancora un piccolo segreto di Giorgetto Giugiaro da svelare: «Dipingo, come mio padre, è il mio amore di sempre. E sto ultimando uno studio da pittore in una vecchia casa di Garessio. I quadri sono la mia passione. In fondo, ho disegnato auto per poterli comprare».