La Stampa, 20 dicembre 2015
Vita di Henry de Monfreid in un saggio di Stenio Solinas
Sembra uscito da un romanzo di Salgari, ma Henry de Monfreid è un personaggio reale, in carne ed ossa, che ha attraversato le turbolente vicende del ‘900, fra Africa ed Europa, come un protagonista di un racconto d’avventura. Pirata, scrittore, trafficante di armi, perle e droga, fumatore d’oppio, prolifico scrittore (con all’attivo più di 70 libri), spia al soldo del regime mussoliniano, questo spregiudicato dandy francese ha ispirato più di un film, ma ora giace dimenticato nelle cronache un po’ ingiallite di epoche coloniali e romantiche tramontate da tempo. È merito di Stenio Solinas l’aver riportato alla luce la sua incredibile storia nella biografia romanzata Il corsaro nero. Henry de Monfreid l’ultimo avventuriero (Neri Pozza, pp. 253 €17). In realtà si sarebbe potuto intitolare «Il corsaro bianco», visto che il suo aspetto da gentiluomo ottocentesco non fa certo pensare a un bucaniere tropicale.
Henry nasce nel 1877 a La Franqui, nel profondo Sud della Francia, dove il caldo sole estivo richiama il torrido clima africano. In fondo, il suo ritratto racchiude in sé tutti i vizi e le virtù dell’800, a partire da quel fascino per l’esotico che lo porterà ad amare profondamente il continente nero e addirittura a immedesimarsi nella cultura della popolazione locale, tanto da convertirsi all’Islam e assumere il nome di Abd el-Hay («Schiavo del Vivente»). Alla guida di una ciurma di marinai locali, lontano dai salotti frequentati dagli occidentali, lo troviamo impegnato in loschi traffici di perle, armi e oppio. De Monfreid si considera il «lupo dei mari», lo Shaytan, il diavolo del Mar Rosso. Il suo modello sono le orgogliose tribù guerriere somale, ma il suo campo d’azione si sposta ben presto in Etiopia dove, diventato acerrimo nemico di Hailé Selassié, tenta di inserirsi nei giochi coloniali che contrappongono l’Italia alla comunità internazionale.
Solinas ripercorre le orme di questo anarco-individualista, a partire proprio da quella Etiopia Anni 30, barbarica e feudale, assurdo e crudele Paese delle meraviglie dove i principi tribali mangiano con la bombetta in testa e Ponzio Pilato è venerato come un santo. In un mondo premoderno, nel quale la schiavitù è ancora una realtà, de Monfried si muove a suo agio: racconta i «segreti del Mar Rosso» e «le terre ostili d’Etiopia» in vari libri e reportage per il Petit Parisien. Ma il Negus etiopico non perdonerà mai al bizzarro avventuriero-scrittore l’immagine negativa che getta sul suo sgangherato Impero. È a questo punto che, forte dei suoi contatti con alcuni ufficiali italiani, Henry si mette a disposizione del governo fascista, impegnato nella campagna coloniale abissina, e ne approfitta per intensificare i suoi traffici di armi.
Ormai lo scrittore ha lasciato il posto all’agente segreto. Il regime mussoliniano si fida dei servizi forniti dal francese e ne fa tradurre i libri, organizza cicli di conferenze, gli concede un trattamento privilegiato da inviato di guerra. In Italia de Monfried diventa un personaggio, una leggenda vivente. I suoi impegni come 007 non impediranno a Henry di tornare di volta in volta a Parigi, dove trova il tempo per recitare se stesso nel film tratto da un suo bestseller, «Les secrets de la mer Rouge», e per partecipare a varie serate mondane in smoking ed espadrillas. Ma gli eventi precipitano e la sua stella è destinata a declinare.
Il 13 luglio 1940, con lo scoppio della guerra, scrive la sua ultima lettera a Mussolini: «Duce, le nazioni proletarie hanno spezzato le loro catene e rovesciato i muri». In realtà le armate italiane perdono su tutti i fronti, compreso quello africano. Nel 1942 de Monfreid viene arrestato dagli inglesi. «Intesa col nemico» è l’accusa. La guerra di Abd el-Hay è finita male. I lunghi anni di prigionia in Africa li trascorre come prigioniero di riguardo: dipinge acquerelli in un atelier improvvisato nel campo di concentramento e ozia. Mentre il mondo si autodistrugge nel delirio bellico, lui si riposa dietro le sbarre.
Liberato dopo il conflitto, decide di vivere fra Francia e Africa, coltivando, fra fiumi d’oppio, sogni di gloria che non si realizzeranno mai (tra l’altro sperò invano di essere eletto fra gli immortali dell’Académie Française). Sfogherà le sue ambizioni letterarie in innumerevoli libri di memorie autocelebrativi. Fedele alla propria immagine di irregolare a tutti i costi, rischierà persino, alla soglia degli 80 anni, di fare naufragio al largo delle coste del Madagascar, in un’ultima rocambolesca scorribanda corsara. Muore, dimenticato dai più, nel 1974, in un mondo spaccato fra ideologie a lui estranee, ormai isolato più che mai, eroe sconfitto di epoche che sembrano lontanissime.