La Stampa, 20 dicembre 2015
Francesco Bartolucci, Mastro Geppetto dei nostri tempi
«Pinocchio è vivo. Basta un tocco di scalpello sul viso o piegargli leggermente la testa su un fianco, oppure spostargli un braccio in una diversa posizione, per fargli cambiare espressione, carattere, sentimento: ti aspetti sempre che da un momento all’altro possa davvero muoversi e riderti in faccia». Non parla, ma narra. E intanto ti fissa negli occhi con il suo sguardo schivo e penetrante Geppetto, avvolgendoti in un sorriso che profuma di pipa e pino, mentre con le mani accarezza la testa del suo primo burattino. Quel burattino che nell’inverno del 1981 gli ha cambiato la vita.
C’era una volta...
«C’era una volta un pezzo di legno»: non potrebbe iniziare diversamente la favola, diventata realtà, di Francesco Bartolucci, intagliatore di 62 anni, ambientata a Belvedere Fogliense, presepe di case nel comune di Tavullia, dove le colline accarezzano il panorama e in ogni curva il pensiero va a Valentino Rossi bambino alle prese con pieghe e staccate. È all’ombra di una torre medievale riadattata nel campanile di una chiesa, che in un anfratto di pochi metri nasce la bottega del mastro giocattolaio. «Sono figlio di un falegname, e fin da piccolino il mio passatempo preferito era proprio questo: usare legno e chiodi di scarto per costruire trenini, fucili ad elastico e trattori. Sono convinto che il mio sia un lavoro bello proprio perché è iniziato come un gioco bello. A 13 anni mi sono avvicinato all’arte dell’intaglio: la mattina a scuola e il pomeriggio tra gli attrezzi. Tengo ancora con me una cimasa per specchiera frutto di quell’estate: tre mesi di fatica per mille lire di compenso». Appreso il mestiere, per una decina d’anni Francesco si dà da fare per conto proprio come intagliatore di mobili in stile. Poi, un po’ per la crisi del settore e un po’ per il desiderio di cambiamento, stanco della routine prende tra le mani un legno e lo mette sul suo vecchio tornio. Ne esce un corpo da burattino: è l’inizio del tutto. Con mazzuolo, scalpello, sega e pennello, ecco che un Pinocchio elegante e dinoccolato prende forma. Ne assembla cinque, da regalare agli amici. L’oggetto piace, tanto che tra i conoscenti si sparge la voce e all’intagliatore si accende la lampadina: «Perché non provare a venderli per strada?».
Con la Dyane 6
Una vecchia Citroen Dyane 6, con cui girare per fiere e feste patronali e davanti alla quale montare un banchetto su cui costruire live i giocattoli, diventa così il primo negozio «Bartolucci». «Era il maggio del 1981: a Gradara ho esordito vendendo undici Pinocchi a 10 mila lire l’uno in una mattinata. Un successo. Ma la cosa straordinaria era l’affetto della gente: si fermava attorno a me, seguendo il lavoro truciolo dopo truciolo, emozionandosi nel vedere la genesi del burattino. La stessa emozione che percepisco tutt’ora, ogni volta che le persone si avvicinano alla magia del legno. Un po’ mi sento come Forrest Gump: ho fatto tanta strada con piccoli passi, senza accorgermene, spinto dalla creatività e dalle idee». Il marchio «Bartolucci», con la firma autografa presa in prestito dal nonno fabbricante di fisarmoniche, diventa sinonimo di qualità e ritorno all’infanzia: sia i bambini che i genitori in quei prodotti trovano stupore e serenità. Divertimento e appagamento dei sensi. Colori e armonia. Dopo 10 anni da ambulante in giro per l’Italia, Francesco, con il supporto della moglie e del cognato, decide di ricreare il proprio paese dei balocchi in un negozio, ad Urbino. Segue quello di Roma inserito in una top ten dei negozi di giocattoli più belli di sempre a livello internazionale, poi Firenze e, da lì, in tutto il mondo. Oltre cento punti vendita: da Madrid a Vienna, passando per Teheran, Dubai, Lipsia e Johannesburg. La piccola bottega, dove non ci batte mai il sole e i raggi entravano solo deviati da un bizzarro giochi di specchio, oggi è una sorta di museo-laboratorio, meta di scuole e turisti desiderosi di conoscere da vicino Geppetto.
In due capannoni
La sede della Bartolucci è a pochi chilometri, dove due capannoni moderni ospitano trenta dipendenti impegnati a produrre gli oltre 2 mila articoli da catalogo: non solo Pinocchio, ma anche orologi a pendolo e animali, motociclette e cavalli a dondolo, spade e aeroplani, portadentini e oggetti d’arredamento. Rigorosamente in legno. Morbido, liscio e profumato. «Le fasi di lavorazione continuano ad essere artigiane: le macchine sono utili, ma sono le mani che fanno sempre la differenza e in alcune operazioni, come nel taglio con il traforo, sono insostituibili. Io continuo ad occuparmi dei prototipi, senza mai abbandonare Pinocchio: dall’originale, che è ancora in produzione, fino a quello che stiamo presentando in questi giorni. Un Pinocchio totalmente inedito: ho voluto renderlo riflessivo e pensieroso. Non triste, ma immerso in una dimensione più intima e profonda». È una fusione inscindibile quella tra Francesco e la creatura di Collodi, tanto che il Geppetto di Tavullia ha acquistato i diritti per realizzare la copia originale del pupazzo utilizzato nel film di Luigi Comencini e realizzato da Oscar Torelli: un capolavoro scolpito nel faggio, oggetti unici da collezione, frutto di maestria, talento e passione. E modello altro due metri e darà l’accoglienza a tutti i visitatori all’ingresso della prossima fiera del giocattolo di Norimberga, a gennaio: un omaggio assoluto al Made in Italy. «Non è cambiato nulla in questi anni: si parte sempre e solo da un pezzo di legno. E, questa, è una storia senza bugie».