la Repubblica, 20 dicembre 2015
Catalogo di tutti quelli che sono pronti a entrare in scena una volta che Assad si sia tolto di mezzo
Segnali di movimento, nuove sfumature ideologiche, impercettibili cambiamenti tattici: nella galassia dell’opposizione al regime di Bashar el Assad sta cominciando la corsa al posizionamento in vista di un negoziato che, a certe condizioni, dovrebbe vedere emergere la tanto auspicata “soluzione politica” al dramma siriano. L’intervento militare russo e una certa nuova determinazione nell’impegno americano hanno spinto i principali gruppi ribelli ad interrogarsi sulle rispettive strategie. E c’è chi è pronto a scommettere che la stagione dello jihadismo, largamente dominante fra gli oltre mille raggruppamenti di rivoltosi, volge al tramonto.
Non c’è dubbio che da qualche mese l’Esercito Libero Siriano, la formazione nata nell’agosto del 2011 come approdo ideale dei disertori in fuga dalle caserme rimaste fedeli al Raìs di Damasco, sta conoscendo una stagione di insperata pubblicità. Persino Putin in cerca di interlocutori pronti a dare credito alla sua volontà di risolvere la crisi, s’è detto pronto a collaborare con il Free Syrian Army.
Nonostante la lunga militanza, iniziata con l’esplodere della protesta siriana, il know how bellico dei suoi 40 mila affiliati, e la indubbia popolarità goduta tra i settori laici della popolazione, il Liberto Esercito, oggi guidato dall’ex Brigadiere Generale Abdul Ilah al Bashir, succeduto nel 2014 all’improbabile Salam Idriss, aveva toccato il fondo. Per molti dei patrioti siriani gli uomini del FSA erano associati alle lunghe permanenze nelle hall degli alberghi di Istanbul, sotto la protezione dei servizi segreti turchi. Ma sul terreno, poco e niente.
Anche quando, nel luglio scorso, il gruppo affiliato al FSA, “il Fronte Meridionale”, aveva annunciato un attacco decisivo a Deraa, la città dove tutto ha avuto inizio, l’offensiva coordinata da una centrale operativa a guida americana, situata ad Amman, in Giordania, s’è risolta in un fallimento. Ma poi sono arrivati i missili Tow, altro regalo congiunto saudita-americano, con la loro forza dirompente contro le lamiere blindate dei vecchi carri armati T72 dell’esercito di Bashar, e le cose sono lentamente cambiate.
Nel frattempo, l’Esercito Libero aveva subito una vera e propria emorragia di uomini e mezzi, confluiti nelle fazioni islamiste e jihadiste, quelle stesse verso le quali s’è andato indirizzando il sostegno della maggioranza sunnita della popolazione siriana. Sono stati gli anni in cui è fiorito il mito di Jabat al Nusra (15-20 miliziani), guidata da Abu Mohammed al Julani, alias Osama al Ansi al Wahdi, passato da tutte le prigioni siriane e irachene, compreso il Camp Bucca dell’occupazione americana, dove ha condiviso dotte discussioni ideologiche e lezioni di arabo classico con Abu Bakr al Baghdadi, l’uomo che si sarebbe auto nominato Califfo dei Credenti, con grande scorno di al Julani che, lasciata la comune casa madre, vale a dire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, è corso a fondare il Fronte al Nusra, giurando fedeltà ad Al Qaeda e al successore di Bin Laden, Ayman al Zawahiri. Da qui, l’immediata iscrizione del Fronte, da parte Usa, nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Anche se tagliati fuori dal balletto diplomatico che precede l’avvio del negoziato tra i ribelli e il regime, gli islamisti radicali avranno modo di incidere e con le fazioni estremiste le potenze impegnate sulla scena siriana dovranno fare i conti, prima ancora di evocare il fantasma della cosiddetta opposizione “moderata”.
E fra gli islamisti che faranno sentire la loro voce, c’è sicuramente Ahrar ash Sham (letteralmente, il Movimento Islamico degli Uomini liberi del Levante”) un gruppo composto da una ottantina di fazioni, 20, 25mila uomini alla cui testa si trova Abu Yahia al Hamawi, che rappresenta il pilastro principale del Jaish al Islam, l’esercito islamico, una federazione di gruppi salafiti attiva a Duma, la tormentata città alla periferia di Damasco. Gruppo, quest’ultimo, fondato da Zahran Aloush, il figlio di un predicatore estremista siriano, rifugiatosi in Arabia Saudita.Per costoro non c’è transizione che tenga, se non quella che ne dovrebbe determinare l’accesso al potere della Nuova Siria. Ma il destino di Assad è segnato.