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 2015  dicembre 20 Domenica calendario

Intanto il governatore parla con Repubblica e dice di aver fatto il massimo

ROMA. Alle spalle del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco non c’è più il quadro rinascimentale che raffigura San Sebastiano trafitto dalle frecce, allegoria di un incarico che contempla anche il martirio delle critiche. Lo aveva Guido Carli. Lo conservarono Paolo Baffi, che provò sulla sua pelle il supplizio autentico e ingiusto di un’incriminazione, e Antonio Fazio, che sperimentò quello, non meno umiliante, delle dimissioni tra le feroci polemiche sul suo operato. Ignazio Visco le frecce le vede però arrivare e piantarsi nella carne viva della fiducia nel sistema creditizio. E alza lo scudo a difesa di quella fiducia e dell’istituzione.
Governatore, un’altra volta la Banca d’Italia è sotto attacco. Come risponde?
«Io guido un’istituzione complessa, con molteplici compiti. Decisioni fondamentali di politica monetaria, con evidenti risvolti per l’economia reale e le stesse banche, sono prese con la partecipazione del Governatore al Consiglio direttivo della Bce. Come Tesoriere dello Stato, ne gestiamo incassi e pagamenti, mettendo a disposizione del pubblico una quantità enorme di informazioni. Operiamo nei pagamenti al dettaglio – bonifici, assegni, POS, ecc. – garantendone la funzionalità e con le altre principali banche centrali dell’Eurosistema, siamo responsabili delle piattaforme che regolano in tempo reale transazioni e pagamenti di valore elevato, e ora anche acquisti e vendite di titoli nell’area. Stampiamo banconote in euro, e ne curiamo la circolazione in Italia. Le risorse della Banca consentono il funzionamento dell’Unità di informazione finanziaria, impegnata nel contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Per non parlare delle responsabilità acquisite negli ultimi anni nella supervisione delle assicurazioni, con la presidenza e la responsabilità delle decisioni dell’Ivass. E siamo l’autorità responsabile della vigilanza sulle banche e sugli altri intermediari finanziari, all’attenzione del pubblico in questi giorni».
Le accuse: la vigilanza è stata carente, il crac di Etruria, Marche, CariChieti e CariFerrara si poteva evitare. Vi hanno tolto la possibilità di gestire gli arbitrati per i risarcimenti e siete stati costretti a chiedere il sostegno del Quirinale. E c’è chi vuole le sue dimissioni. Come si difende?
«Si tratta di attacchi non motivati, spesso basati sulla non conoscenza di circostanze e fatti che pure sono noti. La nostra attività di Vigilanza ha compiti e poteri ben precisi, definiti in modo puntuale dalla legge. In questi giorni ho visto gravi inesattezze e ricostruzioni talora fantasiose, che rischiano di alimentare infondati sospetti sul nostro operato e sull’intero sistema bancario.
Anzitutto non vi è alcuna tensione col Governo, col quale collaboriamo con assiduità e con impegno, come abbiamo sempre fatto nei mesi scorsi e continueremo a fare con spirito di servizio e correttezza istituzionale. In secondo luogo, non vi è stata proprio alcuna polemica per la decisione di affidare gli arbitrati all’Autorità presieduta da Raffaele Cantone, nei cui confronti è nota la mia stima. Lo stesso Cantone mi ha telefonato venerdì mattina per confermare il suo apprezzamento per la Banca d’Italia. E come sempre saremo pronti a fornire tutta la collaborazione necessaria. Infine, la mia visita al Quirinale era stata fissata da tempo, per porgere gli auguri al presidente Mattarella e aggiornarlo sugli interventi effettuati e sulle prospettive».
Molti vi accusano di non aver fatto quanto dovevate. Vi sentite responsabili?
«Siamo convinti di aver fatto il massimo possibile, portando alla luce situazioni di debolezza patrimoniale, inadeguatezze organizzative, malversazioni. Ogni volta che è stato necessario, abbiamo fornito alla magistratura piena informativa e la massima assistenza. L’interlocuzione con la Consob è stata ed è tuttora continua e approfondita, contrariamente a quanto suggerito da qualche ricostruzione.
La nostra costante azione di vigilanza, anche sulle quattro banche, è ampiamente documentata. Siamo pronti a darne dettagliatamente conto nelle sedi istituzionali. Mi faccia aggiungere che questa è solo una parte dei nostri interventi. Nei difficilissimi anni della crisi finanziaria, della recessione, della crisi dei debiti sovrani, la Vigilanza è intervenuta in molti altri casi di difficoltà di singoli intermediari, evitando che si trasformassero in crisi conclamate».
Sull’Etruria però vi siete mossi con ritardo.
«Dopo l’ispezione che ha portato al commissariamento di Banca Etruria agli inizi di quest’anno è stata avviata – come sempre accade quando l’esito non è favorevole – la normale istruttoria per valutare se siano state commesse irregolarità amministrative passibili di sanzioni. Le nostre procedure sono rigorosamente formalizzate, e richiedono tempi necessariamente non brevi, anche per consentire agli esponenti bancari la possibilità di spiegare le proprie ragioni. Il loro completamento richiederà ancora mesi, e alla fine le proposte degli Uffici della Vigilanza saranno vagliate dal direttorio della Banca in una delle sue sedute collegiali».
Mezza Italia è convinta che la vigilanza non abbia funzionato. Come replica?
«Per valutarne i risultati dobbiamo partire dalla gravissima doppia recessione subita dall’economia italiana dal 2009 al 2013, che ha provocato una caduta del Pil del 10 per cento e della produzione industriale di un quarto. I danni per le nostre banche, in particolare dalla seconda metà del 2011con l’esplosione della crisi del debito sovrano, sono stati molto gravi: sono fortemente aumentati i debiti non rimborsati (le “sofferenze”), soprattutto da parte delle imprese. E non sono mancate anomalie e malversazioni in alcune banche.
Ma anche in questo periodo, come in passato, la soluzione delle crisi bancarie non ha richiesto il ricorso alla finanza pubblica. Una eccezione è rappresentata dal Monte dei Paschi di Siena nel 2013, che ha però interamente restituito il prestito ricevuto dallo Stato. Tra il 2008 e il 2014 il sostegno pubblico al settore finanziario nell’area dell’euro è costato in media il 5 per cento del Pil. L’Italia è l’unico paese ad aver registrato un marginale guadagno dagli interventi nei confronti delle banche».
Come mai tante anomalie?
«L’attività di vigilanza è stata ampia e intensa, con ispezioni “sul campo”: negli ultimi quattro oltre 150 in media ogni anno. Le procedure d’intervento hanno determinato ogni anno migliaia di convocazioni e lettere di richiamo, oltre 1.300 interventi nei primi nove mesi di quest’anno. E nel 2014 vi sono stati 96 procedimenti conclusi con 860 sanzioni a carico di amministratori e sindaci degli intermediari. Andando all’indietro nel tempo, dal 1998 sono state messe in amministrazione straordinaria (AS) un centinaio di banche, per lo più con operatività locale: nel complesso, meno dell’1% del sistema bancario in termini di attivo, con un picco negli ultimi anni. Nonostante l’elevata numerosità, le crisi sono state risolte garantendo la continuità dei rapporti economici ed evitando danni per i risparmiatori. Nella metà dei casi le banche in crisi sono tornate alla gestione ordinaria o si sono fuse con un altro intermediario. Negli altri casi vi sono state liquidazioni ma, ripeto, senza danni per la clientela. L’ultimo intervento ha rappresentato una rottura con il passato, dovuta al cambiamento nelle regole del gioco. Per la prima volta si sono applicate le nuove norme europee, che richiedono il coinvolgimento dei creditori delle banche. Interventi analoghi sono stati effettuati in Spagna e più recentemente in Slovenia. In Spagna il contributo dei detentori di azioni e di obbligazioni subordinate alla ricapitalizzazione delle banche nella crisi, che pure ha richiesto l’utilizzo di ingenti fondi europei, è stato di13 miliardi di euro, su un intervento complessivo di 50 miliardi.
Le banche quindi sono mal guidate?
Negli scorsi anni abbiamo tenuto sotto stretto controllo le anomalie, sebbene non avessimo il potere di rimuovere gli amministratori delle banche. Anche la decisione di porre una banca in amministrazione straordinaria richiede dei precisi presupposti stabiliti dalla legge, riguardanti in primo luogo il rispetto dei requisiti di capitale richiesti alle banche. Ciò nonostante, siamo intervenuti con decisione. Mi faccia citare alcuni esempi. Abbiamo determinato l’uscita dei vertici del Monte dei Paschi, anche al costo di forzature rispetto al quadro normativo. Nel caso della Popolare di Milano siamo intervenuti tempestivamente, evitandone una grave crisi. Abbiamo scoperchiato le malversazioni che avvenivano in Carige. Abbiamo sempre informato la magistratura per tempo. E potrei citare molti altri casi.
Adesso ci siamo di nuovo. Cosa non ha funzionato?
«Ora siamo intervenuti per mettere in sicurezza quattro banche che rappresentano una parte piccola, anche se territorialmente importante, del sistema creditizio italiano. Lo abbiamo fatto per evitare danni molto peggiori a centinaia di migliaia di risparmiatori e imprese, per continuare a garantire il credito alle economie locali, per salvaguardare migliaia di posti di lavoro. E come ho detto, lo abbiamo dovuto fare in base alle nuove regole, molto severe, fissate dall’Europa».
Il salvataggio ha lasciato però molti risparmiatori sul lastrico. C’è stato un suicidio. E a chi ha perso tutto non bastano discorsi di sistema. Vuole sapere se chi ha sbagliato pagherà e se potrà essere risarcito. Lei che garanzie può dare?
«Spero anche io che chi ha sbagliato paghi. E sono certo che la magistratura agirà in tal senso per punire i responsabili di reati. I risarcimenti li decideranno gli arbitrati, individuando coloro che hanno preso i rischi in modo inconsapevole, in misura eccessiva rispetto alle capacità di reddito e alla ricchezza».
Per gli altri quindi niente rimborsi? E non è consapevole che così la fiducia però vacilla?
«Sui rimborsi si dovrà necessariamente decidere caso per caso, per non eludere la normativa europea. Il compito dell’Autorità anticorruzione sarà impegnativo.
Voglio sottolineare, però, che abbiamo segnalato da subito, già al momento della loro discussione a livello europeo, i limiti delle nuove norme e il rischio che la loro applicazione potesse minare la fiducia dei risparmiatori. Una soluzione più equilibrata, e forse più rispettosa del quadro giuridico generale, sarebbe stata quella di applicare le nuove norme solo ai titoli di nuova emissione, dotati di apposite clausole contrattuali. Nelle sedi in cui questo è stato sostenuto la pressione per l’adozione di soluzioni drastiche è stata troppo forte.
Oggi dobbiamo rassicurare i risparmiatori sul fatto che tutte le istituzioni del Paese stanno operando per evitare casi futuri e per garantire una applicazione non meccanica delle nuove norme europee. Abbiamo continuato a farlo anche in questi giorni di feroci polemiche. Nei giorni scorsi abbiamo avviato la fase finale della soluzione di tutti i rimanenti casi di banche minori che nei mesi scorsi avevamo posto in amministrazione straordinaria. E venerdì è stata annunciata la soluzione della crisi di una banca di credito cooperativo, senza alcun costo per i risparmiatori.
Ma questa azione da sola non basterà. Dovremo difendere, anche per le vie legali, i nostri modelli di intervento, al fine di recuperare margini di flessibilità nella gestione delle crisi. Dovremo adattare la nostra struttura finanziaria al nuovo contesto, anche favorendo il trasferimento degli strumenti rischiosi dalle famiglie agli investitori istituzionali, meglio in grado di apprezzare e gestire i rischi. Dovremo rafforzare gli sforzi per accrescere la cultura finanziaria dei risparmiatori. Dovremo lavorare a tutti i livelli per garantire un’applicazione consapevole, ragionevole delle norme europee. Ma soprattutto dobbiamo rafforzare la nostra economia, la via maestra per dare forza alle banche e al sistema finanziario e proteggere appieno i risparmiatori».
Perché non sono stati usati fondi pubblici per consolidare il sistema?
«Bisogna ricordare le cause delle crisi. Negli altri paesi dove i fondi pubblici sono stati ampiamente utilizzati, le crisi sono state provocate da investimenti delle banche in prodotti finanziari opachi e rischiosi e si sono verificate – aggravandola – prima della crisi europea del debito pubblico. Da noi invece le crisi si sono manifestate a seguito della crisi economica, molto più grave che altrove. Ciò nonostante l’Italia ha avuto, come abbiamo visto, crisi di dimensioni contenute rispetto agli altri paesi e risolte senza interruzioni nella continuità dei rapporti con la clientela. Questo significa che il sistema, nel suo complesso, è risultato solido e che siamo stati capaci di proteggerlo, pur essendo l’Italia un paese economicamente più debole degli altri. Da noi non è stato il sistema finanziario a rendere fragile l’economia, ma il contrario. E l’economia è ancora fragile. Anche grazie alle riforme avviate dal Governo, oggi siamo in ripresa, siamo tornati a muoverci. Ma non abbiamo ancora smaltito del tutto gli effetti della crisi. Ce la faremo, ma dobbiamo sapere che non sarà facile: nei prossimi 10-20 anni molti lavori tradizionali – forse un lavoro su due – spariranno. Bisogna creare le condizioni per recuperare rapidamente i nostri ritardi e creare un contesto favorevole alla crescita e all’occupazione in un mondo in drastico cambiamento».
La crisi i cittadini italiani la provano sulla loro pelle, e hanno sopportato molti sacrifici. Chiedono di sapere se il credito è solido. Arriveranno altri elementi di turbolenza?
«Noi monitoriamo in continuazione il sistema, per renderlo più efficiente. È in via di preparazione la riforma del credito cooperativo, che creerà un grande gruppo unitario più forte e solido, fatto di molte piccole o piccolissime realtà locali. Stiamo seguendo, insieme con la BCE, come viene completato il rafforzamento delle due banche venete, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, nelle quali le nostre ispezioni hanno evidenziato casi di cattiva gestione che si sono aggiunti alle conseguenze della crisi economica, particolarmente gravi per le piccole e medie imprese di quella regione. Con la trasformazione in società per azioni, l’aumento di capitale e la decisione di quotarsi in borsa Veneto Banca ha fatto un decisivo progresso nella direzione del consolidamento e quindi del sostegno, con il credito, all’economia. Anche la Popolare di Vicenza dovrà diventare una Spa e quotarsi».
Non siete stati troppo indulgenti con la Popolare di Vicenza, che fissava da sé un valore azionario senza alcun riferimento reale?
«Non è vero, e lo abbiamo ben descritto nella nota pubblicata sul nostro sito. Non abbiamo fatto alcuno sconto ai vertici. In base alle attuali norme, il valore delle azioni delle banche popolari non quotate viene fissato dalle assemblee dei soci, non dalla Banca d’Italia. Siamo intervenuti dove le leggi ce lo permettevano. Ma il pianeta popolari è complesso e intrecciato, e soprattutto poco trasparente. Per questo da anni ne chiedevamo pubblicamente la trasformazione in Spa, per interrompere questa anomalia. E alla fine il decreto è arrivato, e la riforma sta cambiando drasticamente il sistema».
Assieme a quello però è arrivato anche il recepimento delle norme sul bail in, che sono spietate nei confronti dei fallimenti bancari e soprattutto di chi ne paga le conseguenze economiche. Non ve ne eravate accorti?
«Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2007-08, dopo i salvataggi pubblici di banche che avevano molto investito nella finanza, i legislatori europei si sono giustamente chiesti come evitare che pagassero ancora i contribuenti. Così è nata, prima, l’idea di coinvolgere nei salvataggi, oltre agli azionisti, anche i titolari di obbligazioni subordinate, aumentandone il rischio. Poi si è deciso, di coinvolgere dall’inizio del prossimo anno, se necessario, gli altri creditori delle banche, mantenendo la piena protezione dei depositi sotto i 100.000 euro. La mera possibilità del “bail in” renderà più onerosa la raccolta bancaria, rischiando di essere, se non ben gestito, controproducente. Se un supermercato fallisce, magari se ne apre uno vicino in grado di vendere le stesse merci al pubblico di quello fallito. Se fallisce una banca, non ne riapre un’altra uguale vicina. Il rischio è che ne fallisca un’altra. Lentamente l’Europa sta cominciando a capire quali possono essere le reali conseguenze delle nuove norme».
Ma dare le colpe all’Europa non è un atteggiamento poco costruttivo, e che non ci aiuta nelle trattative con Bruxelles?
«Le direttive che sono arrivate dall’Europa in questo campo hanno motivazioni serie e sono state comunque approvate, a suo tempo, da tutti i Paesi e votate a larghissima maggioranza dal Parlamento europeo. Nella loro applicazione pratica e nel modo di interpretarle, vi possono essere opinioni diverse quanto ai rischi e alle implicazioni legali. Ad esempio, il divieto di intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi senza il coinvolgimento dei creditori di una banca in difficoltà, come talvolta si era fatto in passato, è motivato dagli uffici della Commissione col fatto che esso, pur utilizzando fondi privati, avrebbe acquisito natura pubblica. La questione, come molte altre che riguardano il recente intervento è complessa; è necessario uno sforzo di comunicazione e spiegazione che proseguirà. Anche per questo abbiamo ritenuto importante dare risposta alle 10 domande sul “Salva banche” avanzate da Repubblica».
Cosa hanno rischiato le quattro banche?
«Alla fine, l’alternativa alla procedura di risoluzione adottata per le quattro banche sarebbe stata una liquidazione ai sensi del codice civile, con effetti devastanti, pur tenendo conto delle dimensioni, contenute a livello nazionale ma non certo locale, di queste banche. Il nostro impegno, di concerto con il Governo e nella continua e totale interazione con gli uffici del Ministero dell’economia, è stato massimo. E per portare a compimento questa soluzione che richiede ancora interventi e operazioni tecnicamente complessi, siamo impegnati a tempo pieno.
Quanto all’Europa, bisogna andare avanti e contribuire all’individuazione di soluzioni utili per tutti e per ciascun paese dell’Unione. Si tratta di uno sforzo che, puntando a valorizzare le riforme effettuate, anche in campo bancario, porti a recuperare fiducia. Serve stabilità politica; serve da parte delle istituzioni quali la Banca d’Italia la capacità di operare al meglio con tutte le nostre forze e competenze. Siamo consapevoli dell’esigenza di spiegare meglio e di più quello che facciamo al servizio del Paese.
E desidero concludere sottolineando che collaboriamo lealmente e in maniera costante con il ministero dell’Economia e con Palazzo Chigi, siamo stati e saremo leali con qualunque governo. E cercheremo di proteggere la stabilità del sistema che finanzia l’economia reale, che è il nostro compito».