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 2015  dicembre 20 Domenica calendario

Un impegno da 35 miliardi assunto con un metodo vecchio

Sc hiavi delle abitudini abbiamo ricominciato a chiamarla «finanziaria» e il motivo è fin troppo semplice: la legge di Stabilità che avrebbe dovuto innovare il modo in cui i governi fanno politica economica sta ripercorrendo le orme del passato, al punto che l’opera di taglia-e-cuci concordata tra governo e Parlamento ha partorito la ragguardevole cifra di 1.000 commi. Si può dire tranquillamente che non c’è ambito della vita economica e civile del Paese che non sia stato toccato, lo dimostra il fatto che persino la compravendita dei calciatori ha subito un restyling normativo. Diamo pure per scontato che molte novità introdotte fossero ampiamente necessarie e che per velocizzare i tempi della decisione alla fine la soluzione vincente sia sempre quella di imbarcare tutti i commi su un container legislativo, è inevitabile però che alla fine l’impressione sia quella di un vestito d’Arlecchino. Tanti colori e tante pezze al posto di un disegno coerente. Per ovviare a questo limite Matteo Renzi avrebbe dovuto per una volta dar retta a Giuseppe De Rita che gli aveva consigliato in tempi non sospetti di affiancare all’omnibus della Stabilità – che, sia detto per inciso, alla fine tocca i 35 miliardi – una sorta di nota aggiuntiva, un documento di politica economica che riassumesse l’essenziale e fosse un strumento agile di comunicazione sia con la comunità degli addetti ai lavori sia con il «popolo». Se poi quella nota, oltre ad assolvere a un basilare compito pedagogico, avesse contenuto anche una visione di medio termine della politica economica dell’Italia, non sarebbe guastato e avrebbe messo al riparo il governo dal dover partecipare alla guerriglia delle cifre e alle polemiche costruite su singole misure. Aggiungo che una messa a punto della «visione» tutto sommato sarebbe stata giustificata anche dalle discontinuità di carattere internazionale che hanno interessato il Paese dal momento dell’approvazione della Stabilità in Consiglio dei ministri a oggi.
Ai blocchi di partenza la legge in approvazione al Parlamento conteneva un messaggio netto di taglio delle tasse a cominciare da quella sulla prima casa. Dietro questa scelta – contestata dagli europeisti ortodossi – il governo produsse in qualche maniera un’analisi dei nodi dello sviluppo italiano e della necessità di ristabilire un clima di normalità post emergenza cominciando a tagliare una tassazione così ampiamente impopolare come quella sull’abitazione. I più attenti obiettarono che se si voleva davvero rimettere in circolo la ricchezza immobiliare incagliata l’intervento avrebbe dovuto essere più ambizioso e a largo raggio. Per farla breve si era comunque aperta una finestra di riflessione tutt’altro che banale e orientata a produrre novità importanti nel rapporto tra contribuenti ed economia reale. Oggi siamo arrivati al traguardo e di quella discussione è rimasto poco o niente. Il taglio ci sarà ma avviene in un contesto molto meno orientato alla riscossa di quanto fosse allora, per di più con un’agenda mediatica dominata dal tema del fallimento delle banche di territorio e delle conseguenze sui risparmiatori. Francamente tutto ciò non rappresenta il viatico migliore per un anno come il 2016 che nelle stime del governo dovrebbe portare il Pil all’1,6%, ovvero dovrebbe farci uscire dal regime di ripresa debole e inaugurare una fase di energica riscossa dell’economia reale.
Un’ultima ragione militerebbe, poi, a favore della stesura di una Nota aggiuntiva. In un documento più ponderato il governo avrebbe potuto trovare il modo di tentare di conciliare e magari spiegare una contraddizione che la Stabilità si porta dietro come un marchio di fabbrica. Quella di finanziare il vestito di Arlecchino con una manovra sostanzialmente condotta in deficit – e per questo motivo sottoposta al giudizio finale di Bruxelles calendarizzato per la prossima primavera – ma di non riuscire assolutamente a muovere la complessa macchina della spending review. È una contraddizione che pesa e che non può essere esorcizzata con una battuta sui lampioni di Carlo Cottarelli.