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 2015  dicembre 19 Sabato calendario

Andare in Svizzera per non morire di dolore. L’ultimo viaggio di Dominique prima dell’eutanasia

Domani vado a Berna”. Dominique lo dice così, quasi senza tradire emozione. Davvero come se fosse un viaggio qualunque. Lo smarrimento si legge sulle facce di quelli che le stanno accanto, come l’amico Gianpiero che lei chiama “il fratellone”. Tutte quelle persone che hanno vissuto e combattuto con lei. Perché a Berna, Dominique Velati, 59 anni, ci va per morire, per l’eutanasia. Non tornerà più nel bilocale di Borgomanero (Novara) proprio sopra il benzinaio, ma con il Monte Rosa davanti alla finestra. Come stasera, anche se è difficile capire se quella visione consoli o renda tutto più difficile.
 
La vita intensa di una “radicale tosta”
Dominique ha deciso di morire così perché il cancro ormai non le dava scampo e il calendario davanti a lei aveva ancora poche settimane. Ma non ha voluto scivolare via in silenzio, meglio che anche questo ultimo gesto fosse una battaglia, come era stato in tutta la sua vita di “radicale tosta”. Così ha deciso di raccontare tutto a Giulia Innocenzi e alle telecamere di Servizio Pubblico. Ha voluto parlare sapendo che quando il suo messaggio sarebbe arrivato nelle case di milioni di italiane lei sarebbe già stata lontana.
Ecco Dominique davanti alle telecamere, con i suoi capelli corti, gli occhi scuri. Come se niente fosse, anche se un confine insuperabile la separa dagli amici, dai compagni di lotta, dall’intervistatrice che le siede accanto. Sono tutti insieme nella stanza spoglia, parlano, scherzano, anche se Dominique tra una settimana non ci sarà più. Eppure pare proprio lei a consolare, mentre accetta di raccontare tutto, di ripercorrere la sua vita e di descrivere che cosa la aspetta tra una manciata di ore. E pensare che appena tre mesi fa stava bene: “È cominciato tutto a settembre. I medici hanno scoperto un’occlusione al colon di destra e dopo le analisi hanno visto che era una metastasi. Poi abbiamo fatto una tac e abbiamo visto che c’è anche qualche metastasi al fegato. Ho fatto l’intervento e la risonanza magnetica. Niente da fare, metastasi dappertutto”. Dominique parla, insieme con un tono appassionato e fermo, cercando di non tradire quel respiro che si fa sempre più sottile. Quanto le restava da vivere? “Con chemioterapia continua da uno a tre anni. Senza chemio da uno a tre mesi”. Perché non provare una cura, perché non andare avanti qualche anno?
 
Un’unica paura: il dolore inutile
La voce di Dominique, il suo volto, fanno capire che l’angoscia del dubbio – se c’è stato – è superata. Sa quello che per lei è giusto fare: “Pensare di prolungare la vita, con la certezza di non guarire, sapendo che comunque la malattia va avanti lo stesso… stare sempre peggio per arrivare che la chemio non fa più effetto, o che io non la sopporto più… no”. Paura? Dominique non lo nega: “Della sofferenza, del dolore, e di non portarmelo avanti bene. Sono contraria al dolore inutile. Per me questo era un dolore inutile. Così ho deciso per l’eutanasia”. Ma non è stata una decisione solitaria, Dominique – che non è sposata e non ha figli – ha ascoltato le persone che hanno vissuto con lei: “Mi hanno appoggiato. Per me è stato importantissimo. A parte l’impatto emotivo che è stato fortissimo in tutti, meno che in me… perché io ho sempre ragionato in questo modo: ti dicono cosa puoi fare, guardi bene… Quando il quadro è chiaro, fai una scelta: o fai la chemio, o non la fai”.
 
Il saluto agli amici: la festa e il karaoke
Ma per lei ci vuole più coraggio ad andare avanti con una malattia così o a decidere di farla finita? “Per me ci vuole più coraggio ad affrontare una malattia, fare la chemio e tutte queste cose. Lì è il coraggio, la voglia di vivere, la voglia di farcela. Ma è una lotta veramente impari”.
Discorso chiuso, Dominique ha già passato il confine. Anche se è ancora con i suoi amici. Proprio come pochi giorni fa, quando tutti insieme hanno organizzato una festa nel bar sotto casa per salutarla. “Un funerale per una persona viva”, sussurra a bassa voce, senza farsi sentire, una delle persone che più le hanno voluto bene. C’erano il dolore, la malinconia, certo, ma si è riso, giocato, cantato con il karaoke.
Non ci sarà altra cerimonia, perché il corpo resterà in Svizzera. Questo è l’ultimo pomeriggio che Dominique passerà qui. E lo sguardo si spinge soprattutto indietro, verso i ricordi di questa donna che ha deciso di fermarsi prima dei sessant’anni. “Io sono un’infermiera. Vai a salvare gli altri e poi non te ne frega niente di te! E mi sono occupata tanto anche dei malati terminali. La voglia di stare con loro era fortissima. È un po’ innato in me. Molti infermieri hanno paura di affrontare il problema della morte con i pazienti. E poi anche i medici non ne parlano, nessuno ne parla. Questi escono dall’ospedale, e con chi parlano? Non si sa. Di solito si chiudono a riccio, non parlano più, si isolano stando a letto… Invece è importante poterne parlare. Io ho cercato di andare avanti, parlandone. Senza timori, come una cosa normale, naturale. Perché è naturale la morte, fa parte della nostra vita!”. Infermiera e militante radicale: “Da trenta anni!”, il punto esclamativo glielo senti nella voce, nell’espressione del viso. “Nell’85 andavo in giro con i volantini del Partito radicale, li appiccicavo in giro…”.
 
Il Tibet, l’aborto, Bonino e Pannella
Battaglie spesso solitarie, aneddoti. Si ride ancora: “Una volta abbiamo saputo che a Novara doveva passare il presidente della Repubblica Cinese e allora abbiamo organizzato una manifestazione, io e il fratellone. Avevamo uno striscione che sua madre aveva preparato con scritto ‘Tibet libero’ e una bandiera. Ma sapete quanti eravamo? Due, lui ed io, non sapevamo nemmeno come tenere su la bandiera e lo striscione…”. Poi la battaglia per l’aborto “che mi costò il posto nel reparto!”.
C’è un unico momento in cui Dominique si commuove, quando arriva il videomessaggio di Emma Bonino. “Marco Pannella è il genio, Emma quella che sa parlare a tutti”. Accanto a lei anche oggi c’è il radicale Marco Cappato. “Dominique me la ricordo a tutti i convegni radicali. Immancabile”. Ma perché è tanto importante la sua battaglia? “La stragrande maggioranza degli italiani sono favorevoli all’eutanasia: il 75 per cento degli elettori della Lega o dei Cinque Stelle. Addirittura il 52 per cento di chi va a messa. Bisogna collegare le istituzioni alla società”. Cappato è convinto: “Bisogna parlarne, è un’esigenza sociale crescente con l’allungarsi della vita e l’affinarsi delle tecniche di rianimazione. Ci sono decine di migliaia di persone in questa situazione. Noi finora abbiamo fornito informazioni, ma faremo un passo oltre”.
 
12.700 euro per arrivare 120 secondi per spegnersi
Lentamente – sarà per il buio che comincia a vedersi oltre la finestra, verso il Monte Rosa – il discorso scivola verso i prossimi giorni. Che per tutti sono il futuro, non per Dominique. È ancora lei a togliere tutti di impaccio: “Parto domattina. Costa caro, 12.700 euro, per me non è stato un problema. Ma è complicato anche morire: il costo, lo spostarsi, gli svizzeri possono morire anche a casa, cioè viene il medico. Noi invece dobbiamo fare tanti chilometri… e non puoi morire a casa tua. E hai dei tempi di attesa obbligatori”.
Sì, le liste, le attese, e a volte tutto salta all’ultimo momento. Dominique doveva partire la settimana scorsa, ma c’è stato un rinvio. Un colpo duro, non solo perché il corpo la sta abbandonando: bisogna ripensare tutto. Ritrovare l’equilibrio. Dominique sembra quasi rasserenarsi pensando a quel momento: “Mezz’ora prima ti danno un antiemetico, che è una sostanza che evita che tu vomiti, e dopo mezz’ora ti somministrano un bicchierino con dentro 15 millilitri di pentobarbital e in due, massimo cinque minuti, entri in un sonno profondissimo. Dopo dipende dal corpo, quanto ci mette ad arrestarsi. Si ferma il cuore alla fine, è un arresto cardiaco. Può andare abbastanza veloce come penso succederà a me, perché sono proprio al limite. Però può durare anche di più. Ma lì ti garantiscono che non ti riportano in vita”. Niente musica, “non sono poetica”. Ma vorrà qualcuno accanto a sé? “Mio cugino vorrebbe tenermi la mano. Io non so se voglio stare lì mano nella mano, oppure tranquilla. Ci sono questi signori dell’organizzazione, persone molto preparate, che sono a fianco a te apposta. Penso che dirò a mio cugino che la mano non me la tiene! Lui è anche un po’ malato di cuore… ora pensa così, ma non vorrei che sul momento si commuove, non vorrei…”.
Dominique adesso guarda già avanti: “Domani sono a Berna e comincio a pensare a me. Ma io non sono emozionata, per niente. Sono di una tranquillità e di una serenità… Lo augurerei a tutti! Fate altre scelte se volete, ma questa pace che ho dentro è favolosa”.
No, nessuna fede, “sono atea, anzi, mi sono fatta sbattezzare”. C’è altro, forse anche l’eccitazione di questa ultima battaglia politica che le dà forza. Anche se lei forse non ci sarà già più: “Vorrei che vedendo la mia intervista a Servizio Pubblico la gente dicesse… Parliamone! Fate qualcosa anche voi, non pensate che siete in mano al nulla. La vostra vita vi appartiene, e quindi anche la morte. Perché averne paura?”.
È tardi. Dominique saluta, stanca, ma con il sorriso. Si affaccia al terrazzo sulle Alpi. “Il Monte Bianco l’ultimo dell’anno, alle quattro del mattino, con i fari rossi sulla neve. Da sola, con la mia macchina… Favoloso”.