il Giornale, 19 dicembre 2015
Vivienne Westwood, confessioni di un’arzilla ottantenne
Ci volevano dei pazzi scatenati per recuperare le botteghe dismesse di ferramenta e drogheria di King’s Road – lontane dai circuiti commerciali di Knightsbridge e Bond Street – e trasformarle nel centro creativo e modaiolo di Londra e poi del mondo intero. Partì per prima Mary Quant, che aprì il suo negozio nel ’55 e poi inventò la minigonna. C’erano poi altri luoghi di culto come Alkasura, il cui proprietario John Loyd era sempre vestito da monaco, o Granny Takes a Trip caratterizzato da un’auto americana che sembrava aver appena sfondato la vetrina, e poi al 430 di King’s Road c’era Trevor Myles con il Paradise Garage, entrato nella storia per aver venduto il primo paio di blue jeans, poi chiamato Hung On You, celebre per i suoi caffetani... Proprio a quello stesso numero e in quel locale, rinominato Sex, partì la leggenda di Vivienne Westwood, l’imperatrice della moda trasgressiva, che insieme a Malcolm McLaren fu l’eminenza grigia del movimento punk. La Westwood, arzilla 80enne ancora in piena attività e snob e piena di sé come e più di allora, è ancora un punto di riferimento per gli stilisti di tutto il mondo e pubblica in questi giorni la scottante autobiografia Vivienne Westwood (Odoya, pagg. 414, euro 30).
Lei e McLaren partirono (a dir poco) in sordina, affittando per poche sterline il retrobottega del 430 per vendere vecchi 45 giri di r’n’r e cardigan fluorescenti comprati nei mercatini. «Era più una installazione che un negozio», dissero i due che lo ribattezzarono Let It Rock. Il negozio ebbe immediato successo, grazie all’inedita fusione tra moda, musica e culti giovanili. I primi abiti di Vivienne furono completi da Teddy Boy personalizzati con dettagli di velluto. Fu subito un successo, e al mattino, già prima dell’apertura, Vivienne e Malcolm erano attesi da decine di «Teds» che fumavano e bevevano birra. Vivienne metteva in pratica quel che faceva da ragazza, quando faceva l’insegnante e si confezionava da sola i vestiti. Un giorno un’ispettrice le disse: «Signorina, le si vede la sottoveste. La sua gonna non è troppo corta?». Lei, senza rispondere, pensò: «Mi ero confezionata il vestito da sola, usando tessuto preso da una fodera, e nel lavaggio mi si era ristretto». E il suo metodo di «costruzione» non è poi cambiato molto, passando dalle magliette e dai giubbotti americani modello Marlon Brando (ma rigorosamente «fai da te») all’intera estetica punk fino ad arrivare alle creazioni sofisticate e trendy dei giorni nostri, senza dimenticare le creazioni fatte in Italia, dove fu affiancata anche da Armani e fece partecipare Madonna alle sue fastose sfilate, come «Hypnos», «Clint Eastwood» e soprattutto «Mini Crini», che ridisegnò la silhouette degli anni ’80 «lanciando nella moda contemporanea un nuovo linguaggio fatto di lingerie».
Si dice che la leggenda di Vivienne Westwood sia costruita su tre fasi interconnesse tra loro: il punk, oggi l’attivismo ambientalistico e in mezzo il legame che riesce a stabilire tra il punk e la politica, ovvero lei è una sfacciata elitista culturale. Certo le magliette strappate, incernierate e piene di slogan, i capi in lattice e quelli «bondage» (calzoni con una cinghia cucita tra le gambe che legava un ginocchio all’altro), hanno lasciato il segno nell’immaginario collettivo. Chrissie Hynde sostiene che il punk in un modo o nell’altro si sarebbe sviluppato ugualmente, ma Vivienne ribatte arrogantemente: «Non abbiamo fregato nessuno, né tantomeno sfruttato un fenomeno da strada: il punk non esisteva prima di noi». Fu il 6 novembre 1975 che Vivienne andò al primo concerto ufficiale dei Sex Pistols, creati da McLaren, e divenne responsabile del look dei ragazzi che, peraltro, «si fecero prendere la mano e cominciarono a mutilare i vestiti», tanto che Malcolm glieli mise in conto! Vivienne aveva sempre giocato con i suoi abiti al limite della violenza, o perlomeno della violenza potenziale... Per scegliere John Lydon, soprannominato Johnny Rotten per i suoi denti marci e John Simon Ritchie, noto come Sid Vicious, «il look fu essenziale». Fu un look violento, sporco, straccione, che guardava al tempo stesso al passato e al futuro. Un look che ha costruito il successo di Vivienne che oggi, feroce come sempre, commenta: «la gente sembra ancora sorpresa che io sia partita dal punk per approdare all’alta moda ma è tutto collegato. Per questo chiamammo una delle prime collezioni Punkature. Non si tratta di moda. Per me si tratta di storia. Di idee».