il Giornale, 19 dicembre 2015
Il welfare alla danese. Copenhagen vuol espropriare gli immigrati dei loro beni in cambio del welfare
La Danimarca torna a far parlare di sé e continua a rifilare sberle alla politica di Bruxelles. Questo piccolo Paese del Nord Europa non intende rinunciare alla propria identità né vuole cedere, come hanno fatto molti altri, la propria sovranità nazionale. E, dopo diversi referendum per mantenere la propria autonomia nella Ue, ecco che nel Parlamento di Copenaghen sbarca una proposta di legge del governo per espropriare i beni di valore dei migranti in cambio del welfare.Siamo sicuri che l’iniziativa danese farà accapponare la pelle alla Boldrini e compagni, i quali continuano a ripeterci che gli immigrati a spasso per l’Italia, senza lavoro e senza identità, siano una risorsa. Ebbene, la Danimarca, che se ne infischia del politically correct, dice chiaro e tondo che sono solo un costo sociale e pertanto, se vogliono integrarsi, devono contribuire. Insomma, il governo vuole stabilire un sacrosanto principio: per beneficiare dell’assistenza pubblica, ha detto il ministro dell’Integrazione Inger Stoejberg, devono essere sulla stessa linea dei disoccupati, i quali hanno diritto al welfare se dismettono tutti i loro beni al di sopra dei 1.500 dollari. La proposta di legge sottolinea che il cosiddetto «esproprio» non riguarderà i beni sentimentali, come le fedi nuziali, ma tutti gli altri valori che supereranno la soglia stabilita. In cambio i migranti avranno diritto ad asilo, assistenza sanitaria, alloggio e corsi di lingua. Non c’è da meravigliarsi. La Danimarca non è nuova a politiche in controtendenza, soprattutto perché è giustamente gelosa della sua indipendenza e della sua sovranità. Ma è meglio che i popoli europei ne restino all’oscuro. Sui media, infatti, non trova ampio spazio il suo euroscetticismo: molti ancora oggi non sanno che Copenaghen non ha aderito all’unione monetaria e continua a usare la sua valuta, la corona. Ma soprattutto non hanno avuto grande eco i referendum sulle questioni europee, ben sette, che hanno fatto guadagnare alla Danimarca la reputazione di essere uno dei Paesi più resistenti all’integrazione nell’Ue. L’ultimo referendum, che ha portato i danesi alle urne solo due settimane fa, il Paese ha respinto la proposta di rafforzare la cooperazione con Bruxelles in materia di giustizia e sicurezza. Un colpo basso che ha spinto il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, e quello del Consiglio europeo, Donald Tusk, a incontrare urgentemente il premier danese Lars Rasmussen per discutere sulle conseguenze del voto. Più che la mancata maggiore integrazione, i leader di Bruxelles temono una sorta di effetto domino sugli altri Paesi, dove è già in forte crescita il dissenso verso la politica comunitaria su temi delicati, come la sicurezza e l’immigrazione. Questioni che la Danimarca ha già affrontato. Sull’emergenza rifugiati, per esempio, Copenaghen ha una politica ferma, tanto da aver pubblicato, lo scorso settembre, inserzioni a pagamento sui giornali libanesi per dissuadere i profughi siriani a raggiungere la Danimarca. «Non venite nel nostro Paese perché abbiamo dimezzato gli aiuti a profughi e immigrati – recitava il messaggio del governo Chi arriva in Danimarca e non viene accettato, deve andarsene velocemente».