Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2015
Il piano di Cassa depositi e prestiti, spiegato dai suoi vertici. Un’intervista interessante
Un primo, importante, tassello è già in rampa di lancio e nelle prossime ore sarà firmato l’accordo con la Bei per rendere subito disponibile un miliardo di euro a favore delle piccole e medie imprese. «È il primo esempio concreto di fondi europei targati Juncker arrivati in Italia che consentirà alle banche, attraverso la garanzia di Cdp-Sace, di erogare prestiti assorbendo meno capitale e quindi con minori rischi. Lunedì ci sarà la chiusura del cerchio con la sigla di un protocollo tra Cdp-Sace, Abi e ministero dell’Economia, fortemente voluto da Via XX Settembre», annunciano i vertici di Cassa depositi e prestiti, il presidente Claudio Costamagna l’ad Fabio Gallia, in un forum con il Sole 24 Ore, a dimostrazione che il piano industriale 2016-2020 di Cdp, appena presentato, ha già iniziato a produrre i suoi effetti e che a regime mobiliterà, tra risorse proprie e fondi attivati via Bruxelles, oltre 260 miliardi di euro in quattro aree prioritarie: governance e Pa, infrastrutture, imprese e real estate.
Prima di cominciare a sviscerare il piano, vorremmo però portare la vostra attenzione sul momento di difficoltà che attraversa il paese, a causa del rapporto incrinato di fiducia con il sistema creditizio. Siete uomini di finanza, che percezione avete di questa fase, si poteva fare diversamente, magari attivando il fondo interbancario, o è stata corretta la scelta intrapresa? Forse ci vuole qualcuno che prenda una iniziativa chiara in modo che chiunque va in banca non debba più sottoscrivere migliaia di documenti, ma, come abbiamo scritto nel primo punto del nostro manifesto del Sole, un prospetto molto sintetico in cui sia facilmente individuabile il grado di rischio dell’investimento.
COSTAMAGNA: Il nostro rapporto con il sistema bancario è un rapporto di collaborazione e di partnership e lo abbiamo detto chiaramente nel piano: vogliamo farlo con tutto il mondo dell’export, dove abbiamo evidentemente bisogno della forza commerciale delle banche per collocare tutti i nostri prodotti e servizi, che saranno riportati sotto Sace, così come in tante altre iniziative, a cominciare dal plafond delle pmi. Venendo alla domanda, sono d’accordo con voi. Ci vorrebbe maggiore trasparenza, la Mifid è complicata, la gente la firma senza guardarla e non c’è ombra di dubbio che ci sia bisogno di maggiore trasparenza, non solo in Italia ma anche fuori visto che la Mifid è europea.
GALLIA: faccio tre osservazioni. La prima: bisogna considerare che siamo entrati, con il bail-in, in una nuova fase, che le regole sono cambiate. C’è uno sforzo che sicuramente le banche, ma anche voi, dovete fare per far capire ai cittadini che siamo entrati in un mondo nuovo. La seconda: non tutte le banche hanno operato allo stesso modo e questo è bene dirlo, ci sono istituti che hanno venduto una porzione di subordinati in maniera completamente diversa. La terza: lo sforzo sull’educazione finanziaria che il sistema bancario ha in qualche modo cominciato sicuramente a fare richiede un cambio di passo. Ma, al di là degli sforzi dei singoli istituti, credo si debba fare un ragionamento un po’ più ampio, anche cominciando a introdurre progressivamente l’educazione finanziaria nelle scuole.
Veniamo al piano. Dentro questo disegno strategico se doveste indicare la priorità delle priorità, su cosa ricadrebbe la vostra scelta?
GALLIA: partirei da una premessa: Cdp è un istituto particolare perché racchiude al suo interno una serie di attività molto disparate. Quindi quando parliamo di priorità credo dobbiamo sapere che nei vari ambiti in cui operiamo ci sono delle ricadute molto importanti non solo per il nostro conto economico, ma per il paese. Quando ci siamo insediati a luglio, ci siamo fin da subito posti un obiettivo di mantenere e rafforzare il modello di business dal punto di vista della sostenibilità economica e patrimoniale, ma il nostro fine non deve essere solo quello dell’utile, deve essere quello di fare in modo che l’impulso al rilancio dell’economia, all’accrescimento della competitività del paese, sia uno dei nostri obiettivi. Cos’è prioritario, quindi? Concentrarci sui quattro capitoli del nostro piano cercando di dare il massimo impatto già nel corso dei prossimi mesi.
COSTAMAGNA: il leit motiv di questi quattro pilastri è proprio l’elemento di promozione. Noi abbiamo risorse importanti ma non infinite e, siccome siamo convinti che in questo momento c’è un grandissimo appetito per progetti interessanti sul nostro paese sia da parte di investitori internazionali che di istituzionali italiani (come casse di previdenza, fondi pensione, etc), noi dobbiamo cercare di fare leva su questo: dobbiamo quindi identificare progetti nel campo dell’immobiliare, delle infrastrutture e delle imprese su cui possiamo entrare con la leva delle nostre risorse limitate, ma soprattutto attrarre più fondi possibili e operare con il concetto delle PPP (partnership pubblico-private), in particolare in quelle aree dove non c’è chiaramente un’appetibilità di mercato.
Verso quali impieghi andranno prioritariamente queste risorse, quindi?
COSTAMAGNA: il venture capital è l’esempio migliore, è un campo dove noi ci sentiamo di poter portare del valore aggiunto. Lo stesso nuovo fondo che vogliamo lanciare con Fsi, il fondo di “growth equity”, poi, è sicuramente un altro caso. Secondo me c’è un numero elevato di aziende molto importanti italiane in cui gli imprenditori sono arrivati, alla luce di questi 7-8 anni di crisi, a un bivio: devono o crescere, e anche velocemente, o vendono. Ma quelle aziende che hanno le capacità e, soprattutto, l’ambizione di voler crescere, hanno bisogno di capitale di equity, non di debito. Noi siamo disponibili a mettere capitale azionario, a dare una governance giusta, nel caso anche aiutarli a rafforzare il management e farle crescere, e poi portarle più velocemente possibile sul mercato. Non è possibile che, nella Borsa italiana, l’80% sia in mano a servizi finanziari e a utilities, l’industria sulla capitalizzazione del mercato italiano vale il 25% e siamo il secondo paese manifatturiero in Europa. Noi dobbiamo assolutamente spingere: molti studi documentano che, se il numero delle quotate raddoppiasse, l’impatto sul Pil sarebbe dell’1 per cento.
Uno dei capitoli più importanti del nuovo piano è l’export. Come intendete agire?
GALLIA: La nostra ambizione non è solo quella di mettere un po’ più di soldi, ma di fare in modo che da qui a qualche anno sia in un posizionamento diverso rispetto a quello attuale. Oggi siamo penultimi, davanti solo rispetto alla Grecia, nel venture capital: i talenti vanno altrove, aziende che vengono vendute quando non riescono a superare la fase, comprate o delocalizzate, manca un capitale un po’ più paziente che non mette troppo leva e abbiamo un tema anche di accesso al credito perché, lo ricordiamo, con Basilea 3 siamo entrati in un mondo più prociclico. E quindi, anche da questo punto di vista, riuscire a utilizzare strumenti, tramite il piano Juncker, ci permetterà di creare dei prodotti di risk sharing che permetteranno anche alle banche di prestare assorbendo meno capitale.
C’è un tema di educazione finanziaria dei risparmiatori, ma c’è anche il nodo dell’educazione finanziaria degli imprenditori che manca molto...
GALLIA: ci sono molti imprenditori che sono fantastici sul processo e sui clienti, ma che non sanno molto di finanza e che non sono neanche riusciti a organizzare l’azienda, hanno un handicap rispetto agli altri.
Torniamo all’export che è un pezzo cruciale della vostra strategia.
GALLIA: se in questi anni abbiamo perso solo il 10% lo dobbiamo al fatto che l’export ha tenuto, altrimenti il risultato sarebbe stato ancora più drammatico e credo che il sistema Cdp ha avuto un ruolo importante. Riteniamo che questo modello possa essere reso ulteriormente più efficace semplificando innanzitutto la vita ai nostri clienti, agli imprenditori, perché oggi noi siamo in grado di offrire dei prodotti su tre indirizzi diversi con tre società diverse: Sace, Simest e la stessa Cassa. Nel piano di riorganizzazione dell’export, quindi, abbiamo deciso di puntare su alcuni principi. Il primo: semplificazione con la Sace che diventerà l’interfaccia nei confronti di tutto il pubblico imprenditoriale per quanto riguarda prodotti e servizi offerti e così facendo risolveremo tutte le sovrapposizioni. Secondo elemento: c’è un tema di presenza sul territorio. Noi siamo abbastanza presenti ma non così come vorremmo. L’articolazione territoriale andrà dunque rafforzata, soprattutto per spostare focus non solo verso le grandi e grandissime aziende, ma anche verso le medie che poi sono quelle che hanno più bisogno non solo di strumenti per andare sui mercati esteri, ma anche dell’education che è tema fondamentale non solo sull’export. E poi c’è la questione della governance, a cominciare dalla necessità di aver un cda ben composto che è strumento essenziale per l’imprenditore e che vale più di tanti piani di consulenza. Ultimo aspetto: il tema dell’impatto, quello che cerchiamo di valutare quindi è un’evoluzione progressiva verso modelli più europei come quello della tedesca KfW e della francese Caisse des depots et consignations (Cdc) che hanno un appoggio dello Stato diverso rispetto al nostro. L’export è importante, ma lo vediamo comunque in congiunzione con gli altri strumenti che abbiamo in essere e siamo convinti si possa fare di più: numeri alla mano, la Spagna, in percentuale rispetto al Pil, esporta molto più di noi, poi noi esportiamo di più in termini assoluti e siamo attorno al 30%, la Germania è venti punti percentuali sopra di noi.
Perché avete messo in campo un piano a cinque anni?
GALLIA: lo abbiamo fatto perché siamo in un mondo che, dopo Basilea 3, è diventato più prociclico e più a corto termine. C’era bisogno di un istituto a lungo termine, di un capitale un po’ più paziente, di qualcuno che possa anche affrontare le limitazioni del mercato. Il fatto di essere un operatore paziente, dunque, ci ha portato a ragionare su cinque anni anche perché molte delle azioni che proveremo a mettere in campo nei prossimi trimestri avranno necessariamente un impatto che sarà più tangibile nel medio periodo. L’utile è importante, oltre agli shareholder guardiamo però anche agli stakeholder, alle ricadute che ci devono essere per il paese.
Ci spiegate come siete arrivati alla valutazione di 160 miliardi di risorse mobilitate in cinque anni? E avete stimato quale impatto sul Pil potrà avere il piano?
GALLIA: Ci arriviamo utilizzando le stesse metriche usate finora nella storia di Cassa: si tratta, quindi, sostanzialmente dell’utilizzo del nostro bilancio tramite impieghi, garanzie e investimenti di equity. E questo ci porta a quel numero che è importante e che evidenzia un certo impulso rispetto al futuro. Quello che cambia poi rispetto al passato è anche il mix e, soprattutto con questo accesso ai fondi europei, noi possiamo non solo abilitarne altri, ma noi stessi effettuare determinati interventi che, senza le controgaranzie, non avremmo fatto. Quindi non muta il profilo rischio dell’azione, muta proprio il contesto perché abbiamo degli strumenti nuovi a disposizione. Noi abbiamo stimato, poi, un moltiplicatore di 1,7 per i 265 miliardi di risorse che complessivamente mobiliteremo: se noi mettiamo, per esempio, 500 milioni nella nuova Sgr noi andremo a raccogliere capitale sui mercati internazionali e anche su quelli nazionali, e, se anche riusciamo a raccogliere un altro miliardo in più, il moltiplicatore è tre. Il moltiplicatore che abbiamo messo è quindi in linea con quello storico, vorrei fosse chiaro che è assolutamente conservativo.
In relazione al piano Juncker avete parlato di 105 miliardi di risorse potenzialmente attivabili, quando potrebbe esserci una prima ricaduta concreta?
GALLIA: c’è una iniziativa che partirà a brevissimo e che vedrà coinvolgimento dei fondi Juncker, dedicato alle piccole e medie imprese, in collaborazione con il sistema bancario per permettere un finanziamento che, grazie alle garanzie, ci consente a noi, a parità di capitale assorbito, di offrire di più. Lo annunceremo all’inizio della prossima settimana: è il primo esempio concreto di fondi europei targati Juncker che arrivano sul territorio italiano. Sarà un plafond di un miliardo che, con le garanzie Juncker e con la garanzia nostra, attraverso Sace, permetterà alle banche di erogare prestiti alle piccole e medie imprese senza subire forte assorbimenti di capitale. Pensiamo a imprese con meno di 500 addetti, con un focus sui temi dell’innovazione e dell’internazionalizzazione. Vogliamo cioè accompagnare aziende che innovino ed esportino, quelle cioè che sono riuscite a resistere alla crisi.
COSTAMAGNA: Quando siamo arrivati in Cassa, c’erano quasi tutti gli strumenti che abbiamo sviluppato nel piano. Sulla parte di Bruxelles, e quindi dei rapporti con la comunità europea e sulla possibilità di costruire dei progetti per canalizzare risorse in Italia, abbiamo invece trovato una situazione di debolezza. Su questo stiamo intervenendo.
Al di là del piano Juncker, avete annunciato iniziative specifiche su tutto il ciclo di vita delle imprese. Possiamo chiarire meglio?
COSTAMAGNA: Interverremo su tutto il ciclo appunto, a partire dal venture capital. E qui io intendo non tanto le start up, che nascono in Italia e questo non è un problema. Il problema, semmai, è quando una start up ha già un suo prodotto, una sua storia e deve accelerare la crescita. È lì che mancano investitori che riescono ad aiutare l’azienda a diventare azienda. Poi il piano si occupa di tutto il mondo delle piccole imprese con questo tipo di accesso al credito e altri prodotti. Dopodiché abbiamo le medie imprese che cerchiamo di aiutare ad andare sul mercato con questo nuovo strumento del fondo strategico, di dargli capitale per spingere la crescita e portarle velocemente sul mercato. E, infine, abbiamo gli investimenti stabili che sono quelli che ci siamo trovati: Eni, Fincantieri, Snam, Terna e, da quando siamo arrivati, abbiamo avviato il processo per aggiungere Saipem se verrà formalizzato l’annunciato aumento di capitale che renderà tecnicamente non in perdita la società. E forse se ne aggiungerà qualche altra. Qui l’idea è quella di essere un investitore stabile in aziende sane, belle e importanti per il sistema paese, dove noi ci sediamo al tavolo, aiutiamo queste imprese a crescere, da una posizione passiva, ed è chiaro che, il giorno in cui dovesse arrivare lo scalatore o altro, un po’ perché siamo seduti al tavolo da azionisti e un po’ anche per chi rappresentiamo, forse un po’ d’influenza potremmo averla.
Qual è il prossimo target?
Non ci sono cose nei radar, non c’è nulla sul tavolo.
L’ultimo vostro investimento è Saipem. Perché avete deciso di puntare su di loro? Non è un’azienda sana...
COSTAMAGNA: non sono d’accordo, è un’azienda sana, è un’azienda spettacolare, leader assoluta nel suo settore con una tecnologia molto forte che ha avuto quattro anni difficili perché ci sono state scelte sbagliate dal punto di vista manageriale e perché il prezzo del petrolio è crollato e chiunque avrebbe avuto problemi. La Saipem ora, con l’aumento di capitale e con il rifinanziamento, è un’azienda patrimonialmente solida e noi entreremo nel momento in cui aumento di capitale garantito sarà fatto. E non dimentichiamo che Saipem è stata un’operazione importante anche per Eni: noi abbiamo il 26% dell’Eni e ha avuto una ricaduta molto positiva anche per loro. Staccare Saipem da Eni era poi importante anche per il mercato di Saipem che perdeva opportunità di business solo perché era parte del gruppo Eni, così come era accaduto a Technip con Total.
In base alla mission del Fondo strategico che prevede interventi in aziende sane, non vi sembra comunque un’operazione tirata per i capelli?
GALLIA: noi siamo convinti che questo sia un eccellente investimento, lo compriamo con un prezzo del petrolio sotto i 40 dollari, è un investimento di lungo periodo. Per la ricerca nostra, per l’indotto, per l’occupazione, ha tutte le caratteristiche per stare in questo portafoglio.
COSTAMAGNA: in quel portafoglio ci sono poi altre aziende, lì finirà per esempio Metroweb, Ansaldo Energia e Sia. Di quest’ultima, noi oggi abbiamo un 49%, ma non abbiamo alcun bisogno di mantenere l’intera quota per cui la nostra idea è di mettere nelle partecipazioni strategiche un pacchetto di minoranza di Sia, un 10-15%, in modo da avere quel posto al tavolo di cui parlavo prima.
Avete già identificato nuovi settori in cui investire? L’Italia, come il Sole ha dimostrato con la partenza del viaggio nel Paese che innova, è ricchissima di invenzioni, ricerca, prodotti innovativi.
GALLIA: non ci sono preclusioni settoriali nel senso che conosciamo la bellezza del tessuto imprenditoriale italiano e la sua ricchezza sono proprio le eccellenze. La meccanica, la meccatronica, il mondo del tessile, il food... Eppoi il turismo, su cui investiremo come sulle infrastrutture.
E sulla banda larga che ruolo immaginate per Cdp?
GALLIA: noi abbiamo Metroweb che opera in questo settore. Il nostro obiettivo, quindi, è valorizzare quello che è il nostro investimento diretto e indiretto in Metroweb e, aspetto non meno importante, dare il nostro contributo affinché questa infrastruttura digitale, essenziale per il paese, possa finalmente vedere la luce.
Considerate l’assetto azionario e manageriale di Telecom sufficientemente stabile per riportare una collaborazione di lungo periodo sulla rete in fibra ottica e pensate che Telecom abbia risorse sufficienti o gli azionisti dovranno fornire mezzi propri per diventare soggetto e non oggetto del consolidamento in Europa?
COSTAMAGNA: non possiamo fare commenti su Telecom, è una società quotata, lasciamo a loro le valutazioni, noi non abbiamo alcun titolo per commentare i progetti della società. Stiamo discutendo con Telecom un piano industriale per cablare 250 città insieme a Metroweb e stiamo facendo la stessa cosa anche con Vodafone e Wind per cablarne dieci sole, così come stiamo discutendo con Enel su tutta la zona C e D che riceve finanziamenti da enti locali per colmare il gap tecnologico. Per noi, quindi, Metroweb è un investimento stabile, poi vedremo quali saranno le proposte sul tavolo alla luce di queste discussioni e, a quel punto, decideremo quale sarà la strada migliore.
Con l’approvazione del bilancio 2015 alcuni dei vertici delle società controllate da Cdp, come Sace, Snam, Fincantieri, arriveranno a scadenza, vi state già muovendo per individuare dei successori?
COSTAMAGNA: ci stiamo già pensando chiaramente, ci stiamo muovendo soprattutto su Fincantieri perché, come sapete, il dg è uscito un mese fa e speriamo a breve di potervi dare notizie su questo fronte, perché Fincantieri ha un problema importante a livello manageriale. Sugli altri fronti, invece, non ci siamo ancora mossi perché adesso siamo impegnati sul piano, sappiamo che ci sono queste scadenze e a tempo debito faremo le scelte necessarie.
Avete annunciato che siete disponibili a salire nell’azionariato del Fondo italiano d’investimento (FII), potete darci qualche elemento in più anche perché sul tavolo c’è l’offerta di un fondo che sarebbe disponibile a comprare addirittura il portafoglio del FII?
COSTAMAGNA: noi abbiamo un 12,5% della Sgr che ha due business: uno diretto di investimento nelle aziende e un altro indiretto di investimento in un fondo di fondi. L’offerta in discussione riguarda quest’ultima parte e saranno i soci a decidere se andare avanti con quella negoziazione o meno. A noi interessa salire nella Sgr per cui stiamo discutendo con gli altri azionisti per vedere se possiamo rilevare alcune di queste quote.
Il dossier Ilva è sul vostro tavolo?
COSTAMAGNA: abbiamo detto che, alla luce di quelli che sono i piani dei commissari, possiamo essere interessati a partecipare a una cordata di imprenditori industriali, in una posizione di minoranza ovviamente, che siano disponibili a prendere in affitto il ramo d’azienda dell’Ilva. È un dossier estremamente complicato, complesso e, allo stesso tempo, secondo noi, Ilva è molto importante per il sistema industriale italiano a prescindere dagli aspetti occupazionali e non dimentichiamo che siamo in un momento estremamente difficile con il prezzo dell’acciaio che è crollato.
Passiamo al real estate. Anche su questo fronte il vostro intervento sarà rafforzato nel piano, c’è la possibilità che si riportino in capo a Cdp anche altri strumenti, come la Sgr Invimit, per cercare di superare la frammentazione esistente e massimizzare il risultato?
COSTAMAGNA: non penso che ci sia un problema di frammentazione, voglio dire che è un mercato talmente grande che c’è spazio per tutti. Noi crediamo di avere delle capacità per poter valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico, per cui se ci dovessero chiedere di aumentare la nostra esposizione in quel settore, siamo più che disponibili a farlo anche perché crediamo che ci sia un interesse enorme da parte degli investitori stranieri a investire in Italia.
GALLIA: storicamente Cassa ha lavorato su due ambiti. Il primo è la valorizzazione del patrimonio pubblico, quindi comprando dal Demanio, dagli enti pubblici. Il secondo: è il social-housing, credo che sottolineare il lavoro che in questi anni è stato fatto sul social-housing che è una bellissima esperienza, sia importante. C’è molta domanda per questo tipo di iniziative: noi pensiamo ci siano spazi. Ultima cosa: la valorizzazione del patrimonio della pubblica amministrazione, ricordo, non sono solo immobili: le pubbliche amministrazioni detengono anche aziende e c’è il tema delle municipalizzate.
Come intendete muovervi?
COSTAMAGNA: riteniamo che ci sia spazio di manovra e ci sia spazio per liberare risorse che poi devono essere investite in altre infrastrutture e servizi per i cittadini: è incoraggiante vedere il riscontro che abbiamo avuto rispetto al dialogo che abbiamo avviato. Bisogna poi tener conto che, nell’ambito delle valorizzazioni del patrimonio pubblico, ci sono anche lì sotto dei segmenti che che andrebbero trattati in maniera diversa. Penso, per esempio, al tema delle carceri: San Vittore e Regina Coeli sono due situazioni che gridano vendetta perché San Vittore è in uno dei quartieri di Milano in cui il residenziale vale di più e lo stesso discorso si può fare per Regina Coeli. Tenere delle carceri in due posizioni del genere non ha alcun senso: bisognerebbe semmai ideare un progetto per costruire nuove carceri fuori Roma su terreni che esistono già e sono già in pancia nostra o in mano allo Stato per liberare gli spazi attuali. Un altro esempio, poi, è quello degli uffici in mano ai ministeri e alla Pa in generale: mi ricordo che, quando ero in Goldman Sachs, con loro avevamo fatto un progetto per il Governo inglese in cui, attraverso un’opera di ristrutturazione ed efficienza, avevamo liberato il 50% dello spazio. Si è trattato di un progetto che tutto il mondo immobiliare nel mondo ha guardato con grande attenzione.
Bad bank e crediti in sofferenza. È un tema che troverà soluzione e voi eventualmente che ruolo potete avere?
GALLIA: finora abbiamo avuto un ruolo di consulenza. Vedremo quelli che saranno poi gli ambiti, ma in questo piano non c’è nulla, nessun coinvolgimento in questo senso.
Sulle quattro banche, invece, è prevista una garanzia di Cdp. Ma può comportare dei rischi?
GALLIA: saremo garantiti da quella che sarà la vendita delle quattro bad bank e dall’eventuale plusvalenza che riteniamo ci sarà dalla gestione degli attivi in sofferenza.
COSTAMAGNA: ma non è una prova per fare la bad bank.
Il progetto di Sace come banca, invece, è morto e sepolto?
GALLIA: quando siamo arrivati il dossier non era sul tavolo e non è sul tavolo al momento. Su Sace l’idea, come scritto nel piano, è creare un unico soggetto cui farà capo il polo dell’export.
Che tipo di competenze non avete trovato in Cdp?
GALLIA: abbiamo trovato ottime competenze, un grandissimo attaccamento alla bandiera, un grande senso istituzionale e un senso di gruppo da costruire.
COSTAMAGNA: forse quello che mancava è un passaggio culturale. Dobbiamo essere più proattivi, avere più presenza territoriale, dove contiamo di rafforzarci, anche sfruttando le sinergie con Sace e le fondazioni. Abbiamo trovato grandi competenze nel gruppo, ora sarà importante lavorare meglio insieme.