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 2015  dicembre 19 Sabato calendario

Quella strana riscoperta dei bronzi di Riace

Quale che ne sia stata la collocazione originaria e il destino che li gettò sui fondali della costa calabrese presso Riace, le due straordinarie statue di bronzo hanno sperimentato negli ultimi decenni tre diverse rinascite. Della terza è ancora troppo presto per dire, ma certo le altre due si sono svolte «a furor di popolo», e tuttavia contro il basso continuo di archeologi professionali, superciliosi difensori dei linguaggi e dei riti disciplinari, e comunque convinti di saperla più lunga dei non specialisti e di dover strenuamente resistere alle loro emozioni, guardandole dall’alto in basso.
La prima «rinascita» è ovviamente quella della casuale riscoperta (16 agosto 1972). Ora che i bronzi di Riace hanno raggiunto una fama universale spodestando statue un tempo famosissime (basti pensare all’Apollo di Belvedere), è impossibile ripercorrere i primi ritagli stampa dalla Gazzetta del Sud senza stupirsi dello scarsissimo rilievo che fu accordato al riemergere di quei due capolavori. La prima notizia è del 19 agosto, a pagina 5, dove i titoli principali sono riservati a una chiusura temporanea dell’autostrada a Scilla, alla finale di un festival a Palmi, all’esplosione di un ordigno in un ristorante a Villa, alla perizia psichiatrica di un’omicida a Locri. In un angolo, accanto a un riquadro con Le migliori pagelle (e relative foto), un trafiletto di poche righe, Statua bronzea nel mare di Riace. (…) Dopo otto anni di accurato restauro, la «seconda rinascita» dei bronzi di Riace avvenne con la loro prima esposizione al pubblico, aperta il 15 dicembre 1980 al Museo archeologico di Firenze, con chiusura prevista all’11 gennaio 1981: meno di un mese. L’avarissimo dépliant che accompagnava la mostra fa il paio con le prime notizie di giornale: povero e reticente su tutto, metteva le mani avanti sin dal titolo: I grandi bronzi di Riace: un restauro archeologico. Le statue venivano dunque esposte non come alti capolavori dell’arte classica, non come prodigiose sopravvivenze di un’arte (quella della scultura in bronzo) quasi del tutto divorata dal tempo e dell’avidità degli uomini, bensì come occasionali reperti archeologici da sottoporre a restauro per dovere protocollare. (…) Nella prima settimana della mostra tornai a vederla ogni giorno: i visitatori erano pochissimi, nessun giornale ne aveva dato notizia, nessun tentativo si era fatto di segnalare l’importanza della scoperta. Ma i visitatori, passandosi la notizia di bocca in bocca, cominciarono a crescere dopo qualche giorno, diventarono folla, massa, valanga, e obbligarono a prorogare la durata della mostra, poi spostata al Quirinale per volontà del presidente Sandro Pertini. I bronzi di Riace diventarono superstar, se ne parlò in tutto il mondo, si moltiplicarono le notizie di cronaca, gli entusiasmi, le proposte; e, con più lentezza, gli studi. Insomma, quella che avrebbe potuto essere una grande occasione per l’archeologia fu di fatto un grande fallimento per gli archeologi. (…) Due questioni si sono agitate, negli anni, intorno ai bronzi di Riace, e meritano di essere ricordate qui: in quale museo debbano essere esposti, e se debbano essere più o meno facilmente prestati per mostre e altri eventi effimeri.
I Bronzi devono restare nel Museo di Reggio, a cui per competenza territoriale furono subito assegnati, o sarebbe invece meglio spostarli in una città con più flusso turistico (si è parlato di Roma, Napoli, Firenze)? Reggio non può competere con Roma per il numero di visitatori abituali, questo è chiaro: ma è questa una ragione sufficiente perché i Bronzi debbano esser deportati altrove? Si è detto, e non è di per sé sbagliato, che i Bronzi, essendo di produzione greca e non magno-greca, non hanno alcuna ragione cogente di restare in Calabria. Sì, ma allora non sarebbe giusto cederli senz’altro al Museo archeologico di Atene, dove i visitatori non mancano? Non sarebbe giusto restituire all’Egitto gli obelischi di piazza Montecitorio e di piazza Navona? Il principio di pertinenza territoriale e topografica dei reperti archeologici è fra le linee-guida della tutela in Italia, e non c’è ragione di proporre una deroga in questo caso. (...) Ogni oggetto d’arte (o di storia) prende senso e spicco solo attraverso il confronto con altri oggetti: questo e non altro è il senso del museo. Ci dibattiamo in questi anni fra due paradossi opposti: quello del contesto e quello del museo. Il «paradosso del contesto» vorrebbe che nessuna opera venga allontanata dal luogo di rinvenimento, trasformando l’Italia in un’infinita (ingestibile) sequela di micro- musei: è l’altra faccia della globalizzazione, che produce, a mo’ di controveleno, fondamentalismi localistici. Ma l’eguale e il contrario del «paradosso del contesto», per quanto assai meno avvertito, è il «paradosso del museo». Ogni museo che si rispetti è esso stesso un nuovo contesto: ma quel che non sappiamo più fare è prenderci la responsabilità intellettuale ed etica di creare a testa alta un contesto nuovo; si fa prima a «lasciare tutto sul posto», passivamente adeguandosi a miopi spinte locali. Perciò è già tanto se i bronzi di Riace sono a Reggio (120 chilometri da Riace). Piuttosto che trasferirli a Roma, non sarebbe giusto riuscire finalmente ad aprire nella loro interezza le straordinarie collezioni del Museo di Reggio, rendendole più note e più appetibili mediante accurate operazioni conoscitive e promozionali? (...) Di segno analogo sono le polemiche sul possibile prestito dei bronzi di Riace, la cui fama universale ha cagionato numerosissime ipotesi di spostamenti temporali per eventi effimeri. Scambiati per costosi soprammobili, i Bronzi sono periodicamente invitati al trasloco in occasione di incontri internazionali, Olimpiadi, esposizioni commerciali e altri «grandi eventi», dove – vuole la leggenda – innalzerebbero di botto il prestigio nazionale. L’idea di un’opera iconica che riassuma le meraviglie d’Italia scatenando vuote vanterie si estende ad altre celebrità. E non è poi tanto lontana l’insistenza di Berlusconi, che deportando i Bronzi alla Maddalena per il G8 sperava di recuperare qualche grammo di credibilità. Queste ostensioni fuori contesto hanno un vantaggio: evitano sia a chi le fa sia ai visitatori la tentazione di pensare. Davanti alle icone, infatti, non si pensa, si venera, esaltando la bellezza, magari come l’equivalente di un giacimento di petrolio, con conseguenti introiti.