la Repubblica, 19 dicembre 2015
Berlusconi licenzia Brunetta. Al suo posto la Carfagna
«Mara, il gruppo ci sta sfuggendo di mano, per la guida avrei pensato a te al posto di Renato Brunetta, che ne pensi?». Silvio Berlusconi la sua scelta la comunica così alla diretta interessata. Giovedì a pranzo a Palazzo Grazioli con l’ex ministra sono presenti anche i senatori Maurizio Gasparri e Maria Rizzotti. Non tollera più la guerra che si sono dichiarati con tanto di plateali interviste gli attuali capigruppo, Brunetta e Paolo Romani. Una situazione che rischia di alimentare una nuova emorraggia, per altro già in atto. Altri nomi sono dati in uscita. Non solo Renata Polverini alla Camera e Enrico Piccinelli al Senato, entrambi verso l’Ala di Verdini, ma altri si apprestano a seguirli a ruota. I più pessimisti (ma ben informati in Fi) parlano di dieci pedine in ballo, nei due gruppi già ridotti a 54 deputati e 42 senatori. Il nome delle ultime ore è il senatore milanese Emilio Zuffada.
Al pranzo di giovedì, come pure ieri mattina incontrando altri fedelissimi come i senatori Lucio Malan e Andrea Mandelli, il leader di Forza Italia ha comunicato che procederà a giorni, al più subito dopo le feste, all’avvicendamento dei capigruppo. «La situazione non è piu gestibile, non posso sopportare che quei due litighino ogni giorno sui giornali e poi Renato ha più di mezzo gruppo contro, tutti vengono a lamentarsi», si è sfogato. Alla Carfagna si è avvicinato a margine di quel pranzo: «Per me devi fare tu il capogruppo, ti senti pronta?». La deputata non si è scomposta: «Se tu me lo chiedi, sono disponibile». E Berlusconi a insistere: «Ma ti piacerebbe farlo?» È a quel punto che è intervenuto Maurizio Gasparri: «Presidente, se ti ha detto che è disponibile, più di così...». Il capitolo capigruppo riguarda anche il Senato, non tanto per responsabilità di Paolo Romani, ma per uscire dall’angolo in cui Fi ormai si ritrova. L’ultimo sbandamento ieri. Solo dopo la minaccia di rottura da parte di Salvini e Meloni, è scattata l’adesione anche dei senatori forzisti alla mozione di sfiducia al governo. Per scegliere il nome giusto a palazzo Madama, come ha spiegato agli ospiti di giovedì e a quelli di ieri, Berlusconi si prenderà però ancora qualche giorno. Circola quello dello stesso Gasparri, ma è vicepresidente del Senato e di questi tempi, in caso di dimissioni, la rielezione di un forzista sarebbe tutt’altro che scontata. In ogni caso, va ripetendo il Cavaliere in queste ore, «i nomi che indicherò saranno sottoposti stavolta al gradimento dei gruppi». Dunque elezione e non più la solita acclamazione. Una svolta che nei giorni scorsi gli era stata sollecitata apertamente dalla sola Laura Ravetto.
Ma basteranno gli avvicendamenti ai gruppi – che soprattutto a Montecitorio scateneranno le ire di Brunetta e dunque un terremoto – per salvare Forza Italia? «È urgente una riflessione per ritrovare il bandolo della matassa – dice una vecchia guardia come Altero Matteoli che da settimane suona l’allarme e sono certo che Berlusconi se ne farà carico prima che sia troppo tardi». Chi ancora mantiene un minimo di controllo su sparuti gruppetti di parlamentari (Gasparri sugli ex An, Romani su diversi senatori, come pure Anna Maria Bernini e il coordinatore veneto Marco Marin) sta cercando di salvare il salvabile. Sta di fatto che la stalla è ormai spalancata e i buoi in fuga. Ai parlamentari in uscita per questo terzo o quarto esodo da Fi, si aggiunge in queste ore il nome del senatore Emilio Zuffada, lombardo. A differenza degli ultimi Polverini e Piccinelli (formalmente ancora in Fi ma con un piede in Ala), lui non ha ancora deciso l’approdo. Ma già sulla legge di stabilità vuole muoversi in autonomia. «A settant’anni farei ridere se dicessi di essere corteggiato, però sì, ho buoni rapporti tanto con Verdini quanto con Fitto – ammette – Il dato è la confusione nella quale siamo precipitati in Forza Italia e nei gruppi, siamo stati troppo ondivaghi, il nostro elettorato non capisce ormai la linea. E poi il partito è evanescente, non veniamo coinvolti nelle scelte». «L’impressione conclude sconsolato – è che abbiamo dilapidato un patrimonio di 20 anni».