La Stampa, 19 dicembre 2015
Stadio di Stoccarda, 19 dicembre 1990. La prima partita della Germania unita
Non c’era il pienone a Stoccarda il 19 dicembre 1990. La Germania giocava unita e allora contare era un obbligo: due giocatori dell’Est, un titolare, Matthias Sammer, che durante l’inno è rimasto a occhi bassi. Imbarazzato perché non sapeva che fare. E un panchinaro, Andreas Thom, che ha segnato il primo gol «Ossi» nella squadra assemblata.
Venticinque anni dopo, la Germania non è più solo unita è mescolata e le origini dei campioni del mondo in carica escono dai confini, quelli attuali e quelli tracciati dal muro, ma del calcio dell’Est ci sono poche tracce. Non c’è una sola squadra in Bundesliga che arrivi dall’ex Ddr e dal 1990 a oggi ci sono arrivate solo in quattro. L’unificazione ha livellato molte realtà, non il calcio perché all’Est coltivavano sogni olimpici con il doping di stato e non erano poi così interessati agli sport di squadra. Il comunismo non sapeva come trattarli. Tutti uguali: invece di esaltare il talento lo mimetizzavano. Sammer ricorda che ai tempi della Dinamo Dresda gli davano sempre le scarpe sbagliate «almeno tre numeri più grandi», lo mettevano in difficoltà perché non staccasse i compagni.
Tesoro nascosto
Berti Vogts, primo ct della Germania senza divisioni, era convinto che ci fosse un tesoro nascosto tra i ragazzini dell’Est e appena preso l’incarico ha allestito una squadra di talent e li ha sparpagliati tra la Turingia e la Pomerania. Ha pescato, molto meno del previsto. Non c’erano centri di formazione, scarsa cultura pallonara. I successi della Ddr erano fermi al 1974: il gol di Sparwasser ai Mondiali del 1974 nella vittoria di propaganda contro la Germania Ovest e il trionfo del Magdeburgo (contro il Milan in finale) in Coppa delle Coppe. Però, appena eliminati i confini, la nazionale teneva nel suo giro 7-8 giocatori nati fuori dall’Occidente. Nel 2014 ce n’era uno solo, Tony Kroos.
Enke portiere sfortunato
Le eccezioni non sono mancate, dal pagatissimo Michael Ballack, il primo a sfruttare davvero il capitalismo, allo sfortunato Robert Enke, promettente portiere morto suicida nel 2009, ma i numeri sono andati calando. Il campionato dell’Est è sparito, le squadre non hanno retto la trasformazione, tante si sono estinte, le altre sono dovute ripartire da zero e si è creato il vuoto. L’Energie Cottbus è l’ultima formazione che ha raggiunto la Bundesliga e l’ha salutata nel 2009. Da allora il buio. Non ci sono giovanili ed è difficile crescere campioni, gli stadi sono inadeguati e tra il 2000 e il 2005 la ripresa economica si è fermata fuori dal campo. Dentro il deserto. Più facile guardare tra gli immigrati di seconda generazione che tra i tedeschi post unificazione.
La federazione è stata a lungo criticata, colpevole di aver lasciato mezzo Paese senza sponsor e risorse, più passava il tempo più cresceva il divario. Camuffato dagli anni perché ormai c’è sempre meno bisogno di contare.
Kroos è semplicemente tedesco, è nato del 1990, a storia compiuta, e poco importa che a Greifswald, il suo paese natale, il centro storico, devastato dai bombardamenti, sia stato ricostruito solo alla fine degli Anni Ottanta. La Germania è diventata multietnica, chi si ricorda dove passava il muro? Solo che se si prova a contare di nuovo, tanti mattoni sono ancora lì, a dividere una realtà dall’altra.
Si muove Red Bull
All’Est riprovano ora a buttar giù qualche differenza. La Red Bull si è comprata la squadra di Leipzig, ha asfaltato la tradizione, destabilizzato i locali e investito sul futuro. Dalle serie minori si riorganizzano e 25 anni dopo quella prima partita a maglie unificate si tenta davvero di espandere risorse e sistema. Un metodo che ha reso la Germania la squadra più forte del mondo, ma non ha ancora abbattuto il muro. Non del tutto.