La Stampa, 19 dicembre 2015
L’incubo dei saggi scolastici natalizi
«No, le feste no!». La frase prorompe quasi come un grido. Siamo davanti a scuola in attesa del suono della campanella e le parole sono coperte dal vociare dei bambini. Federico comincia a fare l’elenco delle feste cui dovrà partecipare nella settimana che precede il Natale. C’è quella della scuola di musica di Matteo; poi la festa del corso di judo. E meno male che è nello stesso orario del taglio del panettone con il gruppo della piscina. Andrà solo a una delle due. Ma ci sono anche le feste della sorella. Caterina gioca a pallavolo, segue un corso di danza e c’è la più importante, alla sua scuola. È alle medie e nel plesso scolastico hanno preparato uno spettacolo in palestra.
Dura quasi un’ora, poi segue il mercatino nell’atrio per raccogliere fondi per la scuola, carta igienica compresa. Federico e sua moglie si divideranno quasi equamente tra le varie feste, ma a quella di Marco alle elementari devono esserci entrambi. Sarà necessario chiedere un permesso al lavoro, ma non è difficile. Si tratta di un problema che hanno in tanti. Il capo di Federico, dato che tutti, o quasi, hanno figli piccoli, probabilmente chiude l’ufficio in quei giorni, o lavora a ritmo ridotto dandosi il cambio.
Quello delle feste è diventato quasi un incubo annuale. Tutti devono festeggiare. E poiché come tanti genitori spendiamo soldi per fargli frequentare i corsi, dice, quelli che li organizzano si sentono in dovere di farci toccare con mano che li abbiamo investiti bene. Le feste natalizie sono la loro vetrina. Un po’ festa e un po’ saggio. Forse più saggio che feste, conclude. Non solo paghiamo, aggiunge sconsolato Francesco, ma ci tocca fargli vedere in modo tangibile con la nostra partecipazione che siamo convinti che abbiamo speso bene i nostri soldi: le feste-saggio sono per noi, non per i ragazzi; loro sono solo lo strumento.
Anche a scuola è così, interviene Giovanna. Le maestre, brave per carità, devono farci vedere che sono bravissime, superbrave. E deve essere una sorpresa, aggiunge, anche se Lucia ci ha già fatto sentire la canzoncina che intonerà. Il saggio ha divorato la festa. Già gli antropologi, anche loro sconsolati, qualche decennio fa concludevano che le nostre feste sono solo l’ombra di quelle del passato: cocktails, ricevimenti, rinviano l’immagine immiserita, trasudano la noia dell’eccitazione ben controllata, scriveva Valerio Valeri, «cui segue il calcolo angoscioso dei successi e dei passi falsi». Una logica che sembra essersi trasmessa a tutta la società dal momento che la festa-saggio è una ulteriore verifica di questo dominio del successo. Si tratta di un processo iniziato molto tempo fa e giunto al culmine solo negli ultimi cinquant’anni con aggiustamenti e perfezionamenti vari. All’origine c’è la vittoria del lavoro su quello che era il tempo libero, un processo irreversibile nell’ organizzazione delle vite, almeno in Occidente. A nessuno dei genitori, in effetti, verrebbe oggi in mente di definire feste quelle organizzate per i loro figli e con la loro attiva partecipazione. Non ne hanno neppure la parvenza, poiché la festa contiene dentro di sé qualcosa di trasgressivo, un bisogno di spreco e persino di distruzione.
Chiamiamo feste manifestazioni collettive che non lo sono per nulla. E lo sappiamo perfettamente, per quanto nella definizione della festa sia molto importante l’organizzazione sociale del tempo. Per sua definizione deve essere un evento piacevole, altrimenti non è una festa, ma qualcosa d’altro. Ecco, appunto, come dicono in diversi in questa mattina di dicembre, mentre attendiamo l’ingesso dei bambini a scuola, mica sono così piacevoli quelle organizzate in vista del Natale. Sono dimostrazioni. Somigliano alla scuola; sono un’altra forma di scuola: istruzione e apprendimento. Il saggio è come un piccolo esame. Ma lo fanno a noi genitori, alla fine, dice Federico, perché come in ogni esame il primo requisito è l’obbligo di sostenerlo. Gli esami non finiscono mai, recita il titolo di una commedia di Edoardo De Filippo. E tocca a noi. Via alle feste, poi affronteremo anche il Natale. Ma lì almeno ci sono i doni. Si spera.