La Stampa, 19 dicembre 2015
La Merkel, seccata per i modi di Renzi
Sorprendente, e parecchio seccante. Questi gli aggettivi circolati tra la diplomazia tedesca a proposito dell’ultima sortita del governo italiano su un’Europa troppo sbilanciata dalla parte della Germania. Le prime irritazioni sono nate nelle scorse settimane quando è stata sollevata la questione delle sanzioni alla Russia, un punto non in agenda al vertice di Bruxelles, su cui però l’Italia ha avuto da eccepire con una motivazione risultata ai tedeschi particolarmente antipatica. Si è voluto infatti ribadire un primato della politica sulle technicalities: no agli automatismi sulle sanzioni – questa la posizione degli italiani – lasciando intendere che ci sono cose su cui l’argomentazione del rinnovo automatico è debole, per non dire in malafede, visto che gli stessi tedeschi continuano a fare affari con i russi nel consorzio Nord Stream.
I tedeschi però non amano le lezioni di politica, soprattutto perché sono abituati a una modalità di lavoro che è uguale e contraria a quella italiana: laddove in Italia la politica è la condizione di partenza per affrontare i dettagli, in Germania sono i dettagli il luogo da cui si irraggia la politica. Quindi il fatto di aver contestato il rinnovo automatico è suonato come una sorta di violazione dello spazio e delle regole comunitarie. I malumori si sono placati solo alla vigilia del summit, quando gli italiani hanno rassicurato la Germania che avrebbero appoggiato le sanzioni.
I dubbi sul rinnovo degli investimenti nel gasdotto che garantisce gli approvvigionamenti di «oro blu» direttamente dalla Russia alla Germania sono planati invece sul tavolo del vertice, sollevati da Matteo Renzi e appoggiati dal fronte ormai sempre più compatto dei Paesi dell’Est Europa. I frondisti di là della Oder non sono più capeggiati – ecco una delle novità più inquietanti delle ultime settimane – dall’Ungheria e dal suo «impresentabile» Orban, ma dalla Polonia. Dunque, al di là del momento di tensione tra Italia e Germania sul Nord Stream e sul fondo di garanzia per le banche («su cui la discussione – al di là della propaganda – è stata brevissima, più breve che all’Ecofin» racconta una fonte diplomatica tedesca) che ha messo in luce un isolamento crescente di Berlino nel consesso europeo, il motivo di angoscia principale per Merkel è tornata ad essere Varsavia. Tanto è vero che una delle questioni centrali, per la cancelliera, il rafforzamento di Frontex e dei controlli ai confini esterni europei – in teoria un obiettivo che dovrebbe interessare tutti, Est Europa compreso – è slittato causa sabotaggio esteuropeo e in particolare polacco. In prospettiva, è il «dossier Kaczynski», il nuovo baratro tra Berlino e il più grande e ricco Paese dell’Est, la più grande bomba ad orologeria dell’Ue.
Sino ad adesso, a sostegno delle questioni formali – spesso anche sostanziali, per la verità – i tedeschi pensavano di avere al loro fianco i Paesi dell’Est. «Una Russia eccessivamente presenzialista sulla scena internazionale non è rassicurante, in particolare per i Paesi dell’Est Europa, l’Italia dovrebbe rendersene conto» – spiegava una fonte diplomatica poco prima del vertice. E invece sono stati proprio loro i primi a mettere da parte le argomentazioni da Guerra Fredda e a sparare a zero su Nord Stream e la linea tedesca.
Un secondo dossier spinoso, rimandato per volontà tedesca, è quello del fondo di garanzia per le banche, su cui i tedeschi confermano da sempre la loro linea totalmente isolazionista sin dal famoso G2 di Parigi del 2008, quando Merkel disse a Sarkozy, citando Goethe, «ognuno spazzi davanti alla propria porta», ossia «a ciascuno il suo». Da allora Berlino ha investito oltre 230 miliardi per salvare le proprie banche e ha sempre difeso il principio che non vuole rischiare un centesimo per le banche altrui. Difficile cambi idea ora. Neanche se si tratta di tradire il fondo di garanzia comune, ossia il terzo pilastro di un progetto europeo che ha contribuito nel 2012 a scongiurare la fine dell’euro: l’Unione bancaria.