Corriere della Sera, 19 dicembre 2015
Gelli era una sorta di Cagliostro, ambizioso, spavaldo, millantatore e incantatore
È morto Licio Gelli, il «Maestro Venerabile» della loggia massonica (segreta) P2. Fece scalpore a suo tempo la scoperta di una lista di 962 iscritti, fra cui ministri, vertici dei servizi segreti, alti magistrati, banchieri, imprenditori, parlamentari e giornalisti. Molti di costoro smentirono di appartenere
alla loggia, ma la verità non fu mai accertata.
A Licio Gelli furono attribuite molte nefandezze e si ritiene che si sia portato nella tomba segreti inconfessabili. Che idea si è fatto di questo personaggio?
Pierfrancesco Camilleri
fracamilleri@hotmail.com
Caro Camilleri,
Non l’ho mai incontrato, ma dalla lettura dei giornali e dai racconti di chi lo ha conosciuto, ho tratto l’impressione che Gelli fosse una sorta di Cagliostro, ambizioso, spavaldo, millantatore e incantatore. Tutta la sua vita fu un «Ponzi scheme», dal nome di quell’uomo d’affari italoamericano, agli inizi del Novecento, che pagava lauti interessi a Tizio con i soldi di Caio e a Caio con quelli di Sempronio: una piramide destinata a crollare su se stessa trascinando con sé tutti coloro che, ammaliati, gli avevano affidato i loro denari.
Nel caso di Gelli la piramide era formata dal nome e dal prestigio delle persone di cui riusciva a conquistare la fiducia. Quanto più ostentava potenti amicizie (non sempre reali) tanto più aumentava il proprio credito e reclutava nuovi amici. Fu questa la ragione per cui il fenomeno Gelli non mi sembrò inquietante. Ero convinto che i suoi piani strategici gli servissero soprattutto a creare la propria leggenda. Mi sembrò molto preoccupante invece il fatto che questo fantasioso venditore di fumo fosse riuscito a sedurre un certo numero di imprenditori, funzionari dello Stato, magistrati e parlamentari. Che cosa pensare di una classe dirigente che si lasciava accalappiare da una persona di cui era impossibile accertare i meriti e le qualità?
La sola spiegazione plausibile è il clima politico e sociale italiano tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Gli attentati terroristici erano sempre più frequenti, le turbolenze bancarie minacciavano la stabilità della lira, la criminalità organizzata agiva sempre più impunemente, i rapimenti di persona erano all’ordine del giorno, il rapporto stretto da Aldo Moro con il Pci aveva trovato consensi in una parte della società nazionale, ma era visto con sospetto dagli ambienti moderati, da Washington e persino da Mosca. L’Italia sembrava scivolare verso il caos e il clima politico era quello più adatto a suscitare paure, alimentare speculazioni, progettare fantasiose vie di uscita. Era il clima in cui Gelli poteva tessere più facilmente le sue trame.