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 2015  dicembre 19 Sabato calendario

Gli ultimi sondaggi danno il M5s a due punti dal Pd

È tempo di bilanci di fine anno e questa settimana analizziamo l’andamento dell’opinione pubblica nel corso dei mesi riguardo alla politica, ai leader e al governo.
Iniziamo dai giudizi sull’esecutivo, che presentano alti e bassi. Terminata la luna di miele nell’autunno del 2014, il governo aveva fatto registrare un netto calo di popolarità anche a seguito della delusione per la inaspettata chiusura d’anno in perdurante recessione. Tra gennaio e febbraio il gradimento dell’operato del governo si è attestato al 43%-44% ma dal mese di marzo si è registrata una contrazione fino al mese di luglio (34%) a seguito soprattutto dell’adozione di alcuni provvedimenti che hanno diviso le opinioni degli italiani, dalla riforma della scuola al Jobs act, all’Italicum. Dal mese di settembre in poi si è verificata un’inversione di tendenza grazie al migliorato clima di fiducia rispetto alla crescita economica e alla possibile uscita dalla crisi, all’approvazione delle modifiche costituzionali nonché ad alcune misure previste dalla legge di Stabilità, in particolare l’abolizione della tassa sulla prima casa. A dicembre il consenso per il governo si attesta al 39% dopo aver toccato il 40% nel mese di novembre. È presto per dire se la vicenda del decreto salva Banche di questi giorni avrà un impatto sulla fiducia nell’esecutivo. Rispetto ai primi sei mesi di attività il governo Renzi risulta molto meno trasversale, deve cioè fare i conti con uno scenario tripolare e, quindi, con la presenza di due opposizioni (Movimento 5 Stelle e centrodestra) a cui si aggiunge il partito degli astensionisti che, deluso da tutti, appare poco benevolo nei confronti del governo. Ne consegue che, al di là del merito dei singoli provvedimenti adottati, le opinioni tendono a essere maggiormente influenzate dall’appartenenza politica e i sostenitori del governo oggi rappresentano una minoranza degli elettori.
Anche la fiducia nei leader politici ha presentato diverse oscillazioni nel corso dell’anno. La fiducia in Renzi nel mese di dicembre si attesta al 38% e dal gennaio in poi fa registrare un andamento analogo a quello del governo. Il premier si mantiene al primo posto per tutto l’anno ma nel mese di maggio viene raggiunto da Matteo Salvini, all’apice del suo consenso (37%), e a fine anno è incalzato da Luigi Di Maio (36%). Il segretario della Lega Nord ha perso 5 punti di fiducia nel secondo semestre (32% in dicembre), confermando la difficoltà a espandere il proprio consenso presso l’elettorato moderato di centrodestra e nelle regioni meridionali, nonostante la svolta «nazionale» del suo partito. Di Maio rappresenta, insieme ad altri, la nuova dirigenza dei 5 Stelle e sta contribuendo a un rinnovamento dell’immagine del Movimento, grazie anche alla scelta di essere presenti in televisione che, lo ricordiamo, rappresenta il mezzo di informazione di gran lunga più utilizzato dagli italiani.
Al quarto posto si colloca Giorgia Meloni (31%), in crescita di 3 punti rispetto a gennaio, seguita da Beppe Grillo (28%), in aumento di 6 punti da inizio anno, ed Enrico Zanetti (25%), in crescita di notorietà.
La fiducia in Berlusconi non ha presentato oscillazioni significative nel corso del 2015 e si mantiene tra il 23% e il 21%, mentre Vendola fa segnare una flessione, dal 20% di gennaio al 14% di novembre con una lieve ripresa a dicembre (16%).
Chiude la graduatoria il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che subisce le conseguenze del calo di popolarità del governo e delle dure polemiche sul tema dell’immigrazione, passando dal 21% di gennaio al 13% di novembre, per poi riprendere a dicembre (16%) a seguito delle preoccupazioni sul fronte della sicurezza dopo gli attentati di Parigi.
I dati di voto indicano un progressivo restringersi della forbice tra Pd e Movimento 5 Stelle. Il Pd oggi si colloca al 31,2%, in calo di 3 punti dall’inizio dell’anno. Al contrario, il Movimento 5 Stelle sale impetuosamente sino a collocarsi attualmente a poco più del 29%, oltre 8 punti in più rispetto a gennaio.
Il risultato del Pd è naturalmente influenzato dai problemi e dalle difficoltà che abbiamo evidenziato per governo e presidente del Consiglio. Ma, a differenza di questi, non si registrano i segnali di ripresa che invece si avvertono per le due istituzioni. Il Pd, spesso diviso al suo interno e in qualche caso anche platealmente, in difficoltà nei territori e nella relazione con gli elettori, non riesce a beneficiare del miglioramento del clima del Paese e della forte crescita della fiducia dei consumatori registrata dall’Istat.
Il Movimento 5 Stelle invece ottiene risultati importanti sia perché gode delle divisioni del fronte del centrodestra e delle sue difficoltà a individuare una leadership, sia perché, come abbiamo detto in altre occasioni, viene percepito sempre di più come un partito «istituzionale» che può accollarsi responsabilità di governo.
Il centrodestra conferma le difficoltà di Forza Italia, sempre meno capace di presentarsi con una linea e una leadership unitaria e in qualche caso con posizioni altalenanti, mentre la Lega, dalla primavera stabilmente prima forza della coalizione, ha fermato la propria ascesa. Stabile invece il terzo partito della coalizione, Fratelli d’Italia, intorno al 4%.
Stabile anche Area popolare, anch’essa intorno al 4% dei consensi.
Ma il tema vero, con l’attuale legge elettorale, è quello dei ballottaggi. Nel panorama attuale, con il centrodestra diviso, l’unico ballottaggio prevedibile è quello Pd/Movimento 5 Stelle. Ma le cose cambierebbero se il centrodestra unisse le proprie forze. A differenza di quanto normalmente succede, in questo caso l’unità rappresenterebbe un punto di forza. Oggi le tre liste divise ottengono infatti il 29,4% (testa a testa con il M5S), ma la lista unita prenderebbe circa due punti in più, collocandosi al 31,3%. Otterrebbe infatti almeno due risultati: raccogliere voti dai pentastellati (che oggi sono favoriti da un centrodestra diviso) e recuperare elettori centristi.
Tuttavia, nonostante questa buona performance (al primo turno, in base alla fotografia odierna, si determinerebbe un testa a testa con il Pd) i risultati dei ballottaggi non premiano il centrodestra. Se il Pd andasse al ballottaggio con il Movimento 5 Stelle infatti, perderebbe in maniera evidente, di circa 5 punti, mentre a metà novembre il distacco era di meno di due punti. Questo perché gli elettori di sinistra e centristi sono un po’ meno convinti rispetto a un mese fa nello scegliere il Pd al ballottaggio, mentre si rafforza l’orientamento verso i 5 Stelle degli elettori di Forza Italia.
Se invece i protagonisti del ballottaggio fossero centrodestra e Pd, quest’ultimo vincerebbe nettamente, di quasi dieci punti. In questo caso l’elettorato di sinistra si muoverebbe compatto a favore del Pd, per il quale si esprimerebbe anche la maggioranza relativa dei pentastellati, mentre i centristi tenderebbero a dividersi con una lieve preminenza del centrodestra.
È uno scenario interessante: a Renzi converrebbe un centrodestra unito in un’unica lista. E chissà che il duro scontro alla Camera con Brunetta non nascondesse qualcosa di più.