Corriere della Sera, 19 dicembre 2015
Si annuncia un’assemblea di Veneto Banca drammatica. Oggi si decide il passaggio a Spa e la quotazione. Cento poliziotti a controllare
MONTEBELLUNA Oggi nella sede della Bce a Francoforte aspettano una telefonata da Montebelluna. Anche tra i calciobalilla della parrocchia di Dese (Venezia) qualcuno, in tonaca, attende uno squillo. Tre “sì”, vorrebbe Mario Draghi dai soci di Veneto Banca. Tre “no”, don Enrico Torta. Il pragmatismo istituzionale da una parte, l’anima ferita del profondo Veneto dall’altra.
Basta un dato per capire l’aria che si respira a Montebelluna, paesone del trevigiano: 100 tra poliziotti e carabinieri sorveglieranno oggi i lavori dell’assemblea straordinaria di Veneto Banca. I soci sono chiamati a un appuntamento da “dentro o fuori”. Dentro i binari segnati pochi giorni fa dalla Bce con una lettera formale al consiglio di amministrazione oppure un salto nel buio, con lo spettro concreto del commissariamento di una delle più grandi Popolari italiane. Trasformazione in spa, aumento di capitale da un miliardo, quotazione in Borsa: questi i pilastri su cui poggia il piano di salvataggio. Tre delibere legate indissolubilmente tra loro. Alla vigilia tutti i conteggi, sia tecnici che artigianali, danno in grande vantaggio i “sì”. Ma non è così scontato. La macchina del “fronte del no” si è mossa capillarmente sul territorio. Sarà battagliera negli interventi e rumorosa; quanto numerosa è la vera incognita. Il suo leader è un prete di 77 anni, don Enrico. Lunedì sera ha convocato un incontro dei “dissidenti” alla discoteca Odissea di Spresiano, due passi da Treviso: in pista ne hanno contati 600. Il Teatro del suore di un altro paesino ai piedi del Monte Grappa si è riempito giovedì sera. Ha fatto battaglie antiusura e celebrato messe per i “risparmiatori truffati”.
Si definisce la “guida morale” del fronte del no e racconta, seduto in canonica, delle centinaia di telefonate che riceve da “tante persone disperate per aver perso i soldi”. Ma votare “no” forse non li aiuta a recuperare i soldi. «Si tratta di un atto di onestà per stare con la schiena dritta – sostiene – Noi non contestiamo la trasformazione in spa ma abbiamo chiesto il rinvio dell’assemblea per avere più informazioni, più notizie sulla situazione della banca e anche perché in queste condizioni appena va in Borsa viene mangiata da società più grandi». Per chiedere il rinvio, don Enrico, insieme agli avvocati che seguono l’associazione dei soci, ha scritto alla Bce: risposta burocratica del tipo “Faremo presente all’ufficio preposto …”.
Se anche è l’anno della misericordia, il parroco che tuona contro il “dio denaro” chiede giustizia. Anzi è andato di persona da Pierluigi Bolla, presidente, e Cristiano Carrus, amministratore delegato di Veneto Banca, «due persone per bene: ci hanno garantito che faranno azioni legali contro i responsabili». Prima paghino, è il concetto, poi li perdoniamo.
Ora però è il momento della conta dei voti. E dello sfogo di tanti soci. Qualcuno forse si chiederà se l’ex presidente Francesco Favotto vivesse su Marte dieci mesi fa. «Nel 2015 torneremo all’utile», dichiarava. «Vincenzo Consoli farà da traghettatore, non possiamo privarci del suo contributo». E ancora: «Le azioni scese da 40 a 39,5 euro? Non è detto che scenderanno ancora».
Dopo i 650 milioni di perdita 2014, al 30 settembre 2015 la banca segna 770 milioni di “rosso”. Consoli è uscito a luglio 2015, dimostrando nei fatti che quel ricambio chiesto molto tempo fa dalla Banca d’Italia si era realizzato solo molto parzialmente. È l’uomo che ha guidato 15 anni di crescita vertiginosa della Banca Popolare di Asolo e Montebelluna poi diventata Veneto Banca, un gigante dai piedi d’argilla. Ma quel che fa più male è il prezzo delle azioni. Sono 88mila i soci. La maggior parte è entrata con gli aumenti di capitale degli ultimi anni, quindi in prossimità dei 40 euro. Ora è stato stabilito un valore di 7,3 euro per il diritto di recesso dalla società. Ma è solo virtuale perché non ci sono soldi per soddisfare le eventuali richieste. Il prezzo lo farà la Borsa e sarà quello ufficiale, per la prima volta di mercato, dopo anni di valutazioni artificiali, fatte a tavolino e sempre favorevoli. A quel punto, con un prezzo “vero”, lontano anni luce dai 40 euro o dai 30,5 fissati ad aprile 2015, che succederà ai tantissimi clienti, soprattutto artigiani e imprenditori, che hanno i titoli in garanzia dei prestiti ricevuti? E che magari hanno dovuto comprare azioni Veneto Banca proprio per ottenere il fido?
È stata dissolta ricchezza (solo in azioni) per 3,5 miliardi, come se a ogni italiano bruciassero 50 euro. Oggi i conti, però, sono soprattutto con il futuro. Sì o no a spa, quotazione e aumento di capitale?