Corriere della Sera, 18 dicembre 2015
Intervista a Peter Bofinger. «Le banche tedesche si sono salvate con i soldi tedeschi. L’austerità è finita da un pezzo»
Peter Bofinger, 61 anni, non dà soddisfazione ai cacciatori di stereotipi. È un economista tedesco, ma non è rigido nel modo di pensare. Non teme che l’Italia sia una bomba a tempo per il suo debito.
Non concorda con tutte le scelte europee del governo di Berlino, anche se è uno dei «cinque saggi» del comitato di esperti che consigliano la cancelliera Angela Merkel. Ma di un punto sembra restare sorpreso: che qualcuno si lamenti ancora dell’austerità.
Matteo Renzi dice esattamente questo: bisogna finirla con l’austerità di un’Europa a guida tedesca. Che ne pensa?
«Sulla parte politica non commento. Quanto all’economia, direi che in Europa abbiamo già mollato sull’austerità. E funziona bene così. L’austerità di bilancio non c’è più, i governi non stanno più stringendo la cinghia sui conti pubblici ed è per questo che l’Italia e l’intera area euro tornano a crescere. Renzi ha ragione. Però quello che chiede c’è già».
La pensano come lei in molti, in Germania?
«Oh, no. Siamo una ristretta minoranza. Siamo pochissimi a pensare che il modo di uscire dal problema del debito sia crescere. E che per questo il cambio di paradigma sull’austerità è un’ottima cosa, perché ha cambiato il clima nell’area euro».
Anche sulle banche Italia e Germania sono distanti. Perché Berlino si oppone a una garanzia comune sui depositi?
«Qui capisco. La garanzia comune sui depositi è una polizza assicurativa, ma prima di firmare qualunque assicuratore vuole essere certo che i contraenti siano in buona salute. Non si assicura volentieri chi sta già male. Non è una buona idea. Getterebbe discredito sull’unione monetaria agli occhi dei tedeschi».
Anche le banche tedesche hanno avuto i loro problemi. Perché sarebbe inaccettabile una garanzia comune?
«Perché lo stato di salute fra le banche dei vari Paesi oggi è diverso. Per far passare un’idea del genere in Germania, il governo dovrebbe spendere molto capitale politico. Meglio farlo su altre proposte. Perché dovremmo costruire meccanismi per aiutare banche di Paesi che hanno ancora un’eredità di problemi dal passato?»
Magari perché altri Paesi in passato hanno aiutato le banche tedesche: erano esposte su Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo. Ma con i salvataggi di quei governi finanziati da tutta l’area euro, non hanno perso un centesimo.
«Le banche tedesche sono state sostenute da Target2, il sistema dei pagamenti fra banche centrali dell’area euro che vede la Bundesbank con un saldo attivo di circa 550 miliardi di euro. Dunque, in questo, non sono state sostenute dal resto d’Europa. Gran parte dei prestiti a loro vengono dai saldi di Target2, finanziati dalla Germania».
È una buona idea quella, proposta da Berlino, di far pagare creditori e correntisti delle banche se c’è aiuto di Stato?
«Non credo sia giusto far pagare i correntisti. In questo non la vedo come tanti alti in Germania. Coinvolgere le obbligazioni subordinate può aver senso, ma forzare perdite sui depositanti è molto pericoloso».
Eppure lo prevede una norma europea in vigore da gennaio, se c’è un salvataggio pubblico di una banca. Perché?
«Vogliono imporre una stretta disciplina sulle banche, perché si comportino meglio. Ma non puoi pensare che una persona normale, un correntista, sia capace di capire un bilancio per poi scegliere la banca più solida».
Quella regola piace in Germania anche perché riduce potenziali aiuti alle banche e protegge da un’eventuale crisi in Italia?
«Certo, ma colpire i depositi creerebbe ancora più contagio. È ingenuo pensare che in Germania ci potremmo schermare da qualunque forma di instabilità in Italia. Tutti in Germania hanno interesse che l’Italia si riprenda, come sta facendo. Se fallisce l’Italia, fallisce l’euro».