il venerdì, 18 dicembre 2015
Tutto si mio padre. Parla Carmen Franco, la figlia di Francisco
Nel quarantesimo anniversario della morte di Francisco Franco Bahamonde, la sua unica figlia parla di quel padre silenzioso e distante che avrebbe preferito un figlio maschio, anche se la adorava. Carmen Franco Polo ci riceve nella sua casa di Madrid, un appartamento luminoso ed elegante, pieno di mobili antichi, opere d’arte e ritratti dei suoi genitori.
A 89 anni, la figlia del generalissimo ha una memoria e una lucidità straordinarie, maniere impeccabili e cortesi, il senso dell’umorismo dei suoi antenati galiziani e una salute fisica invidiabile. Pochi giorni fa ha partecipato a una battuta di caccia in Aragona ed è tornata a casa con tre animali di grossa taglia. «Sparo da quando ero molto piccola, perché negli anni Quaranta non si poteva usare la benzina, e il gasogeno non mi piaceva. E visto che vivevamo nel palazzo reale del Pardo e le mie amiche stavano a Madrid, nei fine settimana andavo a caccia con mio padre nelle campagne, perché non c’era nient’altro da fare. Così sono diventata un’appassionata».
Come riesce a mantenersi così in forma?
«Cammino un po’, ma molto meno di quello che mi raccomandano. Non seguo una dieta, però se sono da sola ceno a letto, non mangio quasi nulla. A mezzogiorno è diverso. C’è un nipote che vive con me, vengono i miei figli e mangiamo in sala da pranzo».
Quarant’anni dopo, come ricorda suo padre?
«Sono sua figlia, quindi con moltissimo affetto, come comprenderà».
Era un padre affettuoso?
«Sì, ma per lui quello che contava era la Spagna. Era la prima cosa, poi veniva mia madre e al terzo posto c’ero io, non avevamo un contatto molto diretto. Se fossi stata un uomo, forse avrei avuto più affinità con lui».
Dal Pardo si usciva poco, avrete pranzato o cenato insieme...
«Entrambe le cose, però c’erano sempre due assistenti con noi a tavola, non eravamo noi tre soli e non si parlava molto di argomenti familiari. Raccontava quello che era successo quel giorno».
Suo padre seguiva le sue cose, capitava che la sgridasse?
«Mai, non si informava mai di nulla che mi riguardasse. Non aveva nemmeno grande curiosità per quello che facevo, né gli importava molto. A quel tempo gli uomini delegavano la cura dei figli alle madri. Non è nemmeno che facessi cose che non gli piacevano. Quando feci il mio debutto in società, dovevo tornare a casa prestissimo, all’ora in cui i ragazzi oggi escono per andare in discoteca».
E come si accorgevano di quando usciva ed entrava?
«Perché giravo con l’autista e la scorta. Finché non mi sono sposata avevamo le guardie del corpo, ma quando ci siamo stabiliti a Madrid, Cristóbal [Martínez Bordiú, suo marito) ci rinunciò, solo i miei figli piccoli avevano la scorta».
Non temevate per la vostra vita? Dicono che ci siano stati degli attentati contro suo padre...
«Sì, credo che qualcosa ci sia stato, però in quel momento non lo venni a sapere e quindi non mi preoccupai».
Come ha visto la Spagna in questi quarant’anni?
«In una situazione un po’ preoccupante, ma io ormai sono di un altro secolo. Sto vivendo a credito, è come una mancia che ti dà la vita».
E Francisco Franco che cosa direbbe della Spagna di oggi?
«Credo che se ne tornerebbe di corsa nell’altro mondo. Le sue ossessioni erano l’unità della Spagna, innalzare il tenore di vita degli spagnoli e non disperdere neanche una goccia d’acqua. Essendo galiziano, ed essendoci acqua in abbondanza nel Nord, quando vedeva questa Castiglia così arida era ossessionato dalla necessità di mettere sistemi di irrigazione, di sfruttare l’acqua. E con quello che succede in Catalogna, non ne parliamo. Sta meglio all’altro mondo».
A proposito, pare che vogliano togliere le sue spoglie dal Valle de los Caídos...
«E anche quelle di José Antonio [Primo de Rivera, capo della Falange e considerato un martire dai franchisti]. Penso che i morti li si debba lasciare in pace, dove stanno. Ma a me non importa molto. Mi preoccupano di più la persona viva e l’anima. I corpi, che li lascino tranquilli. Credo che finché sarà una basilica, non li sposteranno. E non mi sembra neanche che sia un tema urgente».
Lei ha sopportato critiche e avversità con serenità, anche se deve riconoscere che la Spagna si è comportata bene con i Franco: perfino la classe politica li ha rispettati abbastanza.
«Sono vere entrambe le cose. Io ho un carattere rilassato, non sono nervosa. Ci sono stati argomenti fastidiosi, ma sopportabili».
Non vi hanno processati né vi hanno tirato pomodori per strada. Guardi come sono finiti Ceausescu o Gheddafi.
«Grazie a Dio non è successo niente di tutto questo. Penso che il passaggio da mio padre a una monarchia abbia garantito un cambiamento politico tranquillo. Io ho accettato questa transizione perché ritenevo che fosse positiva per la Spagna e per tutto il mondo. Personalmente, in questi quarant’anni ho goduto di una pace di cui devo essere riconoscente».
Come si comporta con lei la gente per strada?
«Sono amichevoli con me. Ovviamente di solito non mi incontro con le persone, diciamo, particolarmente nemiche. Questo quartiere dove vivo [il Barrio de Salamanca] è tranquillo. Di fronte all’ambasciata americana ci sono delle manifestazioni, ma abbastanza limitate. Delle Comisiones Obreras [il sindacato comunista] e cose del genere, con qualche bandiera rossa. In quei casi, quando vado a messa dai gesuiti, che stanno dietro l’angolo, faccio attenzione a tenermi un po’ discosta, ma niente di più. Le persone sono amabili, mi dicono che racconteranno alla madre che mi hanno visto. Poi ci sono persone a cui piaceva di più la tranquillità che c’era prima, ma questo ormai... Ogni epoca ha il suo modo di essere».
Qualche anno fa, in una festa a Madrid, Paco Rabanne la salutò e io gli chiesi la ragione di quella cortesia, visto che suo padre, il generale Rabaneda, fu fucilato solo perché era un militare repubblicano. Mi rispose che bisognava farla finita con le due Spagne ed estirpare il rancore.
«Molto generoso da parte sua. Nutrire rancore è un male per la persona che lo nutre. Si alimentano sentimenti negativi. È preferibile essere concilianti».
Può immaginare che in questi giorni stanno scrivendo di tutto su suo padre...
«Sì, naturalmente. Faccio in modo di non leggere le cose sgradevoli, per non procurarmi un dispiacere».
Sono usciti due libri molto critici. Paul Preston paragona Franco a Hitler...
«I nemici scrivono quello che pensano e gli va di scrivere; non credo che lo leggerò, sappiamo già com’è Preston».
Voi non avete presentato molte querele.
«Solo contro José Luis de Vilallonga, e abbiamo vinto. In un libro sul re, ha detto che io non ero figlia di mio padre, che ero figlia naturale dello zio Ramón, che era repubblicano, aviatore, un progressista dell’epoca. Per lo meno le mie origini restavano in famiglia! (ride)».
Non me la immagino donna Carmen che se la fa con un uomo così progressista...
«Ma Vilallonga non mi considerava nemmeno figlia di mia madre! Ero figlia dello zio Ramón e di una graziosa prostituta. Di mio padre come personaggio pubblico, o di un politico, puoi dire cose tremende, è un’opinione. Quella su di me era un’infamia».
Un altro libro, di Ángel Viñas (La cara oculta del caudillo), asserisce che quattro anni dopo essere salito al potere senza un soldo. Franco aveva accumulato una fortuna equivalente a 300 milioni di euro.
«(Ride) La cosa divertente è che a mio padre il denaro non interessava affatto. Ed essendo molto religioso, diceva sempre che bisognava dare ai poveri una parte di quello che si riceveva; faceva molte opere di carità e aiutava le monachelle di clausura che non avevano nulla, poverette, e dovevano far riparare il tetto e cose del genere: tutto su iniziativa di mio padre. Però succedevano cose divertenti. Era mia madre quella che sollevava l’argomento soldi con l’intendente per pagare quelli delle Pescaderías Coruñesas e altri fornitori. E certe volte doveva prendere mille pesetas dalla busta per i poveri per pagare i conti di fine mese, perché non ne aveva abbastanza. E li restituiva subito, chiaro».
Quando era anziano e malato, lei fu molto più vicina a suo padre.
«Sì, abbiamo avuto più intimità perché era vecchietto».
Aveva paura di morire?
«Per nulla. Diceva soltanto, quando soffriva tanto; Com’è duro morire. Quanto è difficile morire».
E quelle foto terribili, di lui intubato e moribondo?
«Fu orribile. Io ero furiosa. Le foto le aveva scattate mio marito per sé, non certo per venderle. A venderle fu uno dei suoi segretari, ci volle un bel po’ per scoprirlo. Io feci una sfuriata monumentale a Cristóbal, prima di tutto per averle scattate, e poi per averle lasciate in un cassetto dell’ospedale, senza alcuna protezione».
Stavamo parlando della famosa fortuna dei Franco...
«Nulla, non esiste questa fortuna. Avevamo alcune case che ci costa moltissimo mantenere, perché c’è sempre da riparare qualcosa. Questo edificio dove stiamo è nostro. E una tenuta che avevamo a Móstoles la vendemmo, tranne un pezzettino dove vive mio figlio José Cristóbal. Dalla parte di mia madre, la casa di Llanera nelle Asturie e poco più. Il pazo [casa padronale tipica della Galizia] di Meirás è stato un regalo e ho speso tantissimi soldi per sistemarlo e restaurarlo dopo che si era incendiato. O che era stato incendiato, ho sempre avuto i miei dubbi su questa cosa».
A Franco offrirono altre proprietà.
«Però le rifiutò. Il palazzo di Aiete a San Sebastián non lo accettò. E non volle neppure il palazzo de los Muguiro, dove vivevamo a Burgos, con il giardino e un campo da tennis».
Perché accettò Meirás?
«Perché amava la Galizia e il mare. E poi lo abbiamo sfruttato molto, lì si sono sposati i miei figli e due dei miei nipoti, e lì riunisco la famiglia d’estate, anche se vengono di più quelli che hanno più bambini piccoli, e sembra un asilo. Vedremo come va a finire questa faccenda, è molto seccante...».
La conclusione quindi è che la fortuna dei Franco non esiste, e nemmeno gli immensi possedimenti che vi venivano attribuiti in Argentina e nelle Filippine.
«Non so dove sia andata a finire questa fortuna, si vede che l’abbiamo spesa chissà dove (ride). In Argentina ci andavamo solo per cacciare e nelle Filippine perché eravamo amici di Marcos e di donna Imelda».
Come vedrebbe oggi Franco i suoi nipoti? Qualcuno sposato, tutti divorziati... Quella famiglia esemplare...
«Non gli piacerebbe, questo è sicuro. Mamma era molto religiosa e papà anche, ma con i figli bisogna essere tolleranti e capirli, se no li perdi. Non puoi influenzare la loro vita. Puoi dare dei consigli, anche se non ti stanno minimamente a sentire. Nel mondo di oggi non si può pretendere che la morale sia la stessa che c’era nel secolo passato. Con il tempo diventi tollerante, perché altrimenti si allontanano. Qualsiasi cosa pur di non perdere i figli».
Si è comportata bene la famiglia reale con i Franco? Nessuno di loro venne al matrimonio di Luis Alfonso [di Borbone, nipote di Carmen Franco]...
«È sempre stata correttissima. Quella fu una cosa di famiglia, dei Borbone».