Guerin Sportivo, 18 dicembre 2015
Letterina di Mura a Buffon: giochi finché ne avrà voglia
Al Tardini c’ero anch’io quando un giovanissimo e per nulla intimorito Buffon esordì in A. Un pomeriggio freddo anche col sole. Il per nulla intimorito Buffon parò anche le mosche, nelle pagelle gli assegnai un 8 se ricordo bene, o forse mezzo voto in più. Parma e Milan dopo 9 giornate erano appaiate in testa a quota 20. Scala aveva il primo portiere. Bucci, fuori uso, e del secondo, Nista, non si fidava troppo. Così scelse il ragazzino, glielo annunciò domenica mattina pensando a un minimo d’emozione, e quello commentò senza fare una piega: «Gioco io? Bene, sono qui per questo». E sul pullman che portava la squadra allo stadio, disse a Melli, che stava sul sedile davanti al suo: «Spero che ci fischino subito un rigore contro. Tira Baggio, io lo paro e non se ne parla più». L’altoparlante scandisce: Milan: Rossi; Panucci; Baresi; Costacurta; Maldini; Eranio; Desailly; Albertini; Boban; Roberto Baggio; Weah. Allenatore Capello. Parma: Buffon; Mussi; Cannavaro; Sensini; Couto; Benarrivo; Brambilla; Dino Baggio; Crippa; Zola; Stoichkov. Dirige il signor Boggi da Salerno. Nella prima ora il Parma si difende e il Milan attacca. Buffon, maglia numero 12, è particolarmente sveglio nelle uscite: su Eranio, Baggino, Weah. La parata più difficile è su una girata da 7 o 8 metri di Simone, entrato per Baggino al 78’. Finì 0-0. Nel dopopartita, qualcuno notò la somiglianza, saranno stati i capelli, del portierino con Gianni Morandi, ma nessuno gli chiese di cantare “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”. Portierino, poi, si fa per dire. Fisicamente era già un discreto armadio. Parlando, aveva le pause che ha anche oggi, come riflettesse prima di scegliere le parole. Oggi e più cosciente, di sé e del ruolo. Vent’anni fa era più incosciente, un po’ guascone, ma si capiva che non era uno stupido. Stupidaggini da giovane ne ha dette, e qualcuna anche fatta. A proposito di maglia, la scelta della numero 88. Quando gli fecero notare che 88 in codice vale HH, non Helenio Herrera ma Heil Hitler la cambiò in 77. Salvo pentirsene, almeno stando a quel che ha detto a Roberto Perrone, suo biografo: “Sono stato un debole, non dovevo cambiarla”. Per lui, 88 era come dire che aveva quattro palle. In questo machismo da caserma sarebbe scivolato con un’altra maglia (Boia chi molla) e con una bandiera decorata di croce celtica durante i festeggiamenti romani post-Berlino. Più grave l’acquisto di un diploma (patteggiati sei milioni di multa), e di questa mossa, che turlupinava anche la sua famiglia, s’è pentito sì. Del milione e rotti di euro in scommesse, ma non sul calcio, non so. Purché sia legale, ognuno coi suoi soldi può fare quello che gli pare. Anche tenere a galla e salvare dal naufragio la Carrarese (è un sentimentale, in fondo). Quando parò un rigore a Ronaldo (1997-98) esibì la maglia di Superman. Esuberanze giovanili. Ci sono portieri caldi di natura (Buffon, ma anche Pfaff, Higuita, Barthez, Albertosi, Shilton, Tacconi, Kahn, Campos, Schumacher, Pantelic, Garella, Perin, Boranga) e altri freddi (Zoff, Banks, Jascin, Courtois, Sarti, Arkonada, Neuer, Gilmar, Dasaev, Preud’homme).
Potrei dire di aver visto l’esordio del più grande portiere di tutti i tempi? Potrei dirlo sì, perché lo penso. E subito dietro Buffon, Dino Zoff. Così diversi, eppure così degni del ruolo di capitano. Così bene invecchiati, anche se Zoff ad alcuni poteva sembrare già vecchio a 21 anni e Buffon non sembrerà vecchio a 43. Un portiere deve avere la pelle dura, perché pochi lo capiscono veramente. E non sempre il tempo è galantuomo come con Zoff, per cui i tre quarti d’Italia invocavano la pensione o l’aiuto d’un cane lupo dopo Argentina ‘78, per cui tutta l’Italia impazziva quando al 90’ bloccò sulla linea un’incornata di Oscar (Spagna ‘82). Mentre Zoff fin da bambino si vedeva portiere e nient’altro, il ragazzino Buffon giocava da centrocampista (me lo immagino un po’ lasagnone, non velocissimo) in squadre quadrisillabe di nove lettere (Canaletto, Perticata, Bonascola) e l’idea di fare il portiere nemmeno lo sfiorava. Infortunati titolare e vice, ci dovette andare, tra i pali, ed è ancora lì. La mia classifica deve tener conto del fatto che non ho visto giocare Zamora, né Planicka. Quindi. 1. Buffon, 2. Zoff, 3. Jascin, 4. Banks, 5. Iribar. Con qualche lampo passeggero: mai visto un portiere con la presa del marocchino Zaqi (Mexico ‘86). Oggi un portiere deve essere bravo di piede, ma io continuo a preferire quelli bravi con le mani. Siccome i cromosomi non sono bruscolini, Buffon non poteva diventare un esile giocatore di scacchi. Madre campionessa italiana di peso e disco, padre campione italiano di peso, due sorelle pallavoliste, uno zio cestista in A 1, Buffon non poteva che essere un atleta. Primo maestro in porta Ermes Fulgoni, generalità da protagonista di un romanzo di Gene Gnocchi, ma esiste davvero, e poi William Vecchi. La palma di migliore a Buffon dipende anche da una considerazione tecnica: negli ultimi 15/20 anni i palloni sono studiati apposta per fregare i portieri, quindi parare bene e tanto è più difficile. Com’è difficile non essere banali nelle dichiarazioni. In questo senso, Buffon mi sembra non vecchio ma molto maturato. Le sue analisi, a fine partita, sono tra le più oneste e sportive che si possano immaginare. Anche quando riguardano la sua squadra, e penso al dopo-Sassuolo: smettiamola di dar la colpa agli arbitri, abbiamo giocato una partita indecorosa, alla mia età non ci sto a fare la figura del pellegrino. Ma poi, parliamoci chiaro, quanti Campioni del Mondo e secondi nel Pallone d’oro avrebbero accettato di restare in una Juve condannata alla Serie B quando tutte le squadre più forti d’Europa facevano la coda per accaparrarselo? Ci sono cose che non hanno prezzo, pur avendo un enorme valore. Mi dia retta. Buffon: giochi fino a quando ne avrà voglia. Pro o contro che uno possa essere, è uguale: avere in campo il miglior portiere del mondo dà sale alle partite e allo spettacolo.