Panorama, 17 dicembre 2015
Lo strano caso del cinese che compra le opere d’arte più costose del mondo
L’uomo che un tempo attraversava Shanghai alla guida del suo modesto taxi ora viaggia a bordo di una Bmw d’alta gamma. Ma soprattutto s’è portato a casa un Modigliani da 170,4 milioni di dollari (oltre 155 milioni di euro). È bastata una puntata al telefono e il Nu couché, messo all’asta da Christie’s a New York lo scorso 10 novembre, è andato a Liu Yiqian, il ricchissimo collezionista che il presidente della stessa casa d’aste in Asia, Nicolas Chow, non esita a definire «la più grande forza del mercato dell’arte cinese».
Nel rarefatto mondo dell’arte, a dire il vero, non poche sopracciglia si sono sollevate all’acquisto, e c’è chi ha perfino usato la sgradevole parola: «Parvenu». Del resto, il medesimo Liu adopera per descrivere se stesso una versione cinese di quell’aggettivo, cioè «tuhao»: il termine in particolare disegna chi ha un livello culturale inadeguato al suo denaro. Ma non è la prima volta che le maniere ruspanti di Yiqian vengono messe alla berlina. Accadde già nel 2014 quando, per 36 milioni di dollari, Liu si aggiudicò una tazzina Ming più piccola di un nido di colibrì, ci versò del tè e pubblicò la foto sui social network scatenando accuse di volgarità, oltre che d’irriverenza nei confronti del venerato imperatore Qianlong, cui era appartenuto quel rarissimo esemplare (pare che al mondo se ne contino solo 19), considerato un po’ il Sacro Graal delle porcellane cinesi. «Volevo sapere che cosa si prova» aveva dichiarato in quell’occasione Liu, scoprendo sotto il sorriso obliquo la dentatura imperfetta. Quindi aveva saldato il conto con 24 strisciate della sua carta American Express Centurion, ottenendo in cambio i punti per volare gratis, e con quelli si era infilato su un aereo diretto a New York assieme alla famiglia. Sbarcato poi nella Grande Mela, in una suite dell’Hotel St. Regis si era fatto ritrarre in mutande dalla figlia nella posa di quello che sarebbe stato il suo successivo trofeo: uno yogi tibetano in bronzo del XII secolo. E di nuovo aveva baldanzosamente sbattuto online quell’immagine.
La storia di Liu Yiqian, ridotta all’osso, è quella di un giovane decisamente scaltro, che ha saputo trasformarsi in un uomo di successo e ormai da quasi vent’anni sta facendo dell’arte uno strumento di elevazione sociale. Nato povero, Yiqian lascia la scuola per spirito di ribellione a soli 14 anni e si mette a lavorare accanto alla madre, che cuce borse da vendere per strada. Con infiniti sacrifici, il giovane riesce a mettere da parte la cifra per comprarsi un taxi. Siamo quasi alla metà degli anni Ottanta, quando in Cina viene sciolto il monopolio di Stato sui trasporti e decolla la generazione dei «ragazzi da 10 mila yuan»: così vengono definiti i fortunati che raggiungono quel reddito annuale, insperato fino ad allora visto che la media cinese non aveva mai superato i 300. E Liu è uno di loro.
Ma la vera svolta arriva ai 27 anni, quando il taxista va in visita a Shenzen e ritrova un vecchio compagno di studi che gli svela i trucchi per giocare sul nascente mercato azionario cinese. E lì che comincia la fortuna di Yiqian. Oggi la sua holding, il Sunline Group, fa affari nella finanza ma anche nell’immobiliare, nelle assicurazioni e nella farmaceutica. Il suo patrimonio è stato stimato in 1,4 miliardi di dollari (quasi 1,3 miliardi di euro) dalla rivista americana Forbes, al netto dei beni artistici. «Non so nemmeno quanto valgano i miei quadri e tutto il resto» ha dichiarato Liu a Bloomberg lo scorso aprile. «Ma tanto non ho intenzione di rivendere nulla». In realtà Liu vuole sì continuare a comprare, ma anche vendere: difatti ha messo su una casa d’aste, la Beijing international auction.
La fregola collezionistica che lo anima, comunque, sembra ondivaga, stravagante. La regola numero uno di Liu è buttarsi sempre su quello che costa di più. «Maomao dice che quando si tratta di azioni bisogna comprare quelle che paghi poco, ma nel caso dell’arte vale il contrario, occorre puntare in alto»: così spiegava qualche anno fa sua moglie Wang Wei, in un’intervista apparsa sul portale cinese Artron, apostrofando il marito con il nomignolo d’affezione. Per tutta risposta, «Maomao» ha appena dichiarato al Financial Times che in realtà lui compra solo quel che vuole la consorte, donna (a sentir lui) dall’appetito insaziabile: di recente è andata a fare shopping nelle gallerie di Manhattan, dove ha comprato un delfino di Jeff Koons. Ma il ragionamento comunque non fa una piega, considerato che sul fondo del barile si addensa il rischio d’imbattersi in falsi.
Resta il fatto che Liu Yiqian ora è uno dei più grandi collezionisti non soltanto della Cina, ma del mondo. E la sua passione pare destinata a uno scopo filantropico. I suoi acquisti, come il nudo di Modigliani, vanno tutti a riempire il museo che Liu ha aperto nel 2012 a Pudong, e che nel 2014 è stato già ampliato da una sede di 33 mila metri quadri affacciata sul Bund di Shanghai. Una terza succursale a Chongqin è prevista per la primavera del 2016. Il capolavoro del genio livornese, comunque, non resterà isolato. Le energie di Liu fino a un anno fa sembravano tese soprattutto a riportare in Cina pezzi trafugati durante la Rivoluzione culturale, ma ora il collezionista guarda all’Europa: «I cinesi amanti dell’arte avranno così l’opportunità di vedere opere interessanti senza lasciare il Paese» ha detto al New York Times. E ha aggiunto quella che per i nostri benpensanti dell’arte può forse sembrare una minaccia: «È possibile che ora mi metta a collezionare capolavori di tutti i grandi maestri».
Il messaggio è chiaro: dopo l’interesse mostrato per tante aziende e tanti palazzi nel Vecchio continente, tra i miliardari cinesi ora c’è chi punta all’arte europea. E Liu potrà forse suscitare qualche commento ironico fuori dalla Cina, ma in Patria è quasi un eroe, anche nella complessa epoca della nuova campagna anticorruzione lanciata da Xi Jinping, che stride con l’ostentazione di ricchezza. Ed è vero che Philip Tinari, direttore dell’Ullen center for contemporary art di Pechino, liquida il miliardario con un giudizio tranchant: «Non è certo un connaisseur». Ma nell’alta cultura cinese c’è anche chi lo difende: come Zhu Shaolian, un noto collezionista di Pechino, il quale ritiene sia molto più raffinato di quel che lascia intendere. Intanto Yiqian, che i media cinesi hanno ribattezzato l’«eccentrico mr Liu», continua a presentarsi al lavoro in t-shirt e con la barba lunga, fa la spesa quando la moglie è impegnata e non mostra alcun desiderio di sfoggiare abiti firmati né un autista. Ed è già pronto alla prossima asta d’Occidente.